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Contratto? Soldi? Naaa. La Gen Z in un’azienda guarda soprattutto i valori

Il 52% dei lavoratori della Gen Z rinuncerebbe a parte del proprio stipendio pur di lavorare in una realtà con valori che condivide.
4 Agosto 2025

Ve lo abbiamo già raccontato molte volte: la Gen Z, quella destinata a rappresentare quasi il 30% della forza lavoro globale entro il 2030, non si accontenta più: sta invece riscrivendo le regole del gioco (del lavoro) proponendo una visione radicalmente diversa da quella delle generazioni precedenti. Che prova a farsi spazio in una cultura non ancora così evoluta, va detto. Vi ricordate il buon vecchio posto fisso, l’idea di vivere per il lavoro, di far sacrifici fino alla pensione? Ecco, anche basta.

Una prospettiva del tutto nuova che mette al centro flessibilità, equilibrio tra vita privata e professionale e ascolto autentico. Briffandovi al volo, i giovani tra i 18 e i 26 anni adesso vogliono aziende capaci di prendersi cura delle persone, prima ancora che dei dipendenti. A testimoniare questo significativo cambio di passo un recente report di Checkr, secondo cui ben il 52% dei lavoratori della Gen Z e il 46% dei Millennial sarebbero disposti a rinunciare a parte del proprio stipendio pur di lavorare in una realtà con valori coerenti con i propri. Se non vi bastavano i miliardi di pezzi che abbiamo già scritto sull’argomento, questa è l’ennesima prova del fatto che il lavoro non viene più scelto solo in base al ruolo o al compenso, ma anche (e soprattutto) in funzione del significato che porta con sé.

Qual è adesso il ruolo dell’azienda?

Ovviamente, in questo panorama, il ruolo delle aziende cambia radicalmente: dal loro punto di vista infatti il futuro del welfare aziendale non può più essere considerata una mera voce di costo, ma diventa soprattutto una scelta identitaria. Almeno, per le aziende che vivono nel 2025 e non nel 1960. “Non si tratta più di semplici servizi aziendali, ma di una nuova cultura del lavoro. Oggi lepersone chiedono alle aziende di farsi carico della loro esperienza complessiva, non solo comedipendenti, ma come individui” ha confermato Alberto Perfumo, CEO di Eudaimon, tra le principali societàitaliane attive nel campo del welfare aziendale. Come riporta una recente survey ripresa da Forbes, la Gen Z vuole avere la certezza che il proprio lavoro abbia uno scopo, oltre che sentirsi parte integrante di un’azienda fin dal primo giorno. Altre skills molto apprezzate da parte dei giovani lavoratori sono la trasparenza e la chiarezza, non solo dei leader, ma anche dei colleghi: comunicazione aperta su retribuzione, benefit, performance, strategie e processi decisionali.

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Consulenti welfare ne abbiamo?

Da qui passa anche l’esigenza di avere in azienda un consulente welfare dedicato che possa illustrare l’offerta del pacchetto di servizi aziendali e indirizzare il lavoratore verso quelli le soluzioni più adatte alle sue esigenze. Esigenza testimoniata anche dall’8° Rapporto Eudaimon Censis secondo cui il 42,5% dei lavoratori, quasi uno su due, vorrebbe poter contare su un consulente esperto in cui avere fiducia per suggerimenti, indicazioni in materia di welfare. “Il futuro del lavoro passa da qui: da unacultura professionale più umana, promossa da chi ha il coraggio di chiedere di più, tanto che per ilavoratori della Gen Z il lavoro non è più solo una questione economica, ma riguarda la qualità dell’esperienza lavorativa nel suo complesso. Flessibilità, benessere esupporto alla persona sono diventati elementi imprescindibili” ha concluso Perfumo.

Siamo ancora in una fase di mezzo eh, dove per qualcuno questo nuovo spirito del lavoro è una ventata di aria fresca, rivoluzionaria, che porterà gli uomini e le donne del futuro a pensare più a se stessi e al proprio benessere. Per altri, la Gen Z pretende troppo e non sa più cosa significhi “farsi il cu*o”.

Voi da che parte state?

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