È bastato un «non prendiamo bambini» per trasformare una tranquilla giornata al mare in un caso nazionale. La polemica sulla spiaggia “no kids” di Milano Marittima è esplosa a fine agosto – dai, l’avete letta, no? – ha fatto discutere mezza Italia tra indignazioni e applausi, e si è chiusa – come spesso succede – con una stretta di mano tra le parti.
Come è nata la vicenda, brief al volo
Tutto parte da Andrea Mussini, turista modenese in vacanza a Milano Marittima con la moglie e il figlio di cinque anni e mezzo. L’uomo racconta di aver provato a prenotare un tavolo in uno stabilimento della località romagnola, ricevendo però una risposta secca: «Non prendiamo bambini». Apriti cielo. Mussini non la prende bene e segnala l’accaduto: «Siamo qui in vacanza da un mese, mangiamo fuori ogni giorno e non mi era mai capitata una cosa simile. Mio figlio ha cinque anni e mezzo. Ieri stavamo facendo una passeggiata e mi sono fermato in quel locale chiedendo se erano aperti a pranzo. Quando mi hanno detto di sì, ho chiesto se fosse possibile prenotare un tavolo per tre. Secca, la cameriera mi ha risposto che no, lì non si accettano bimbi sotto dieci anni». L’uomo decide di rivolgersi anche ai carabinieri e di chiedere un incontro con il sindaco di Cervia. «Gli dirò: guardi, non ce l’ho con Milano Marittima, qui sto bene, ma certi atteggiamenti non devono essere ammessi, non siamo mica tornati al Medioevo».

Il caso scoppia anche sui social (ovvio)
Nel giro di poche ore, la notizia rimbalza sui giornali e soprattutto sui social. Commenti indignati, discussioni infinite e, inevitabilmente, una valanga di insulti e messaggi poco carini sia al gestore che al turista, tanto per non scontentare nessuno. La Capitaneria di porto di Ravenna annuncia verifiche, visto che lo stabilimento – il Bicio Papao – si trova su suolo demaniale, quindi con regole diverse rispetto a un locale privato.
Il sindaco Mattia Missiroli prende posizione: «Gli esercenti non possono senza un motivo legittimo rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo. Il messaggio è: la spiaggia a Cervia è di tutti, soprattutto dei bambini, degli anziani e delle fasce più fragili della comunità».
La difesa del gestore: «Non odiamo i bambini»
Il titolare dello stabilimento, Walter Meoni, non ci sta a passare per il “nemico pubblico numero uno dei genitori italiani”. «Facciamo così da trentatré anni, ma non è vero che odiamo i bambini. All’inizio qui venivano soltanto i giovani ed erano le famiglie a puntare su altri bagni. Ora vengono persone di tutte le età e scelgono noi perché vogliono stare più serene, sapendo che qui non ci sono bambini piccoli».
La filosofia è chiara: meno caos, più tranquillità. «Mi sto soltanto ritagliando una fetta di clientela – aggiunge Meoni –. Così come fanno a Milano Marittima altri tre o quattro alberghi e un mio collega. Non prendo più neppure compleanni o addii al celibato o al nubilato, e lo faccio per lo stesso motivo: disturbano l’atmosfera tranquilla. Ecco, così rinuncio a una barca di soldi per tutelare il mio lavoro».
Il chiarimento e la stretta di mano
Dopo giorni di polemiche, insulti social e dibattiti infiniti, la storia si chiude con un faccia a faccia. Mussini e Meoni si incontrano sabato 30 agosto e risolvono tutto. «Semplicemente la frontman del ristorante non era adeguatamente preparata, è stato un malinteso. Il signor Walter mi ha chiesto pubblicamente scusa, io ho accettato e per me la questione si chiude qui». Il turista ammette anche di essere rimasto travolto dalla tempesta social: «Sono stato colpito da odio e commenti brutti anche nei confronti di mio figlio». La gente non sta bene, questo è certo. Anyway, la pace è suggellata da un comunicato congiunto, firmato pure dalla cooperativa bagnini di Cervia e dal sindaco Missiroli. Nel testo si accusa la stampa e i social di aver «amplificato esageratamente la vicenda, con il risultato di ferire le persone coinvolte, entrambe le parti».
Questione chiusa?
Formalmente sì: il turista accetta le scuse, il gestore promette più chiarezza nella comunicazione, il Comune ribadisce che le spiagge sono di tutti. Resta però il dibattito di fondo: può uno stabilimento balneare vietare l’accesso ai bambini piccoli? Sul piano del diritto privato, gli esperti ricordano che il divieto può anche essere legittimo, purché non discriminatorio e ben segnalato. Ma quando c’è di mezzo il demanio pubblico, la faccenda si complica: l’accesso alla spiaggia deve essere garantito a tutti, e qui entra in gioco un’altra partita.