Il nome Cédric Grolet dice poco a chi di dolci si intende solo per la brioche al bar sotto casa, ma basta aprire Instagram per capire di chi stiamo parlando: quasi 23 milioni di follower, boutique in giro per il mondo e creazioni che sembrano opere d’arte contemporanea più che pasticceria. Croissant scolpiti, ciliegie e limoni trompe-l’œil, torte così perfette che ti viene voglia di fotografarle piuttosto che mangiarle. Insomma, il francese classe ’85 è diventato una vera e propria star globale, e ora arriva la notizia che interessa noi: nel 2026 Grolet aprirà anche in Italia. La location è ancora top secret, ma una cosa è certa: prepariamoci a fare la fila e a mettere mano al portafogli.
Un’infanzia tra sacrifici, miele e nonni severi
Il percorso per arrivare a questo livello non è stato per niente dolce. Grolet ha cominciato a soli 12 anni, quando i genitori – preoccupati più per i suoi voti bassi che per i suoi sogni – decisero di mandarlo a fare pratica in un forno di paese. Turni di notte, caldo insopportabile e impasti troppo pesanti per le sue braccia da ragazzino. “Un approccio durissimo, quasi violento”, racconta al Corriere. Ma non era solo punizione: già allora aveva capito che la pasticceria poteva essere un modo per rendere felici gli altri. Cresciuto in una famiglia numerosa, con sei fratelli e genitori costretti a lavorare sodo per mantenerli, è stato segnato soprattutto dall’influenza dei nonni. Uno, albergatore rigoroso e maniacale nei dettagli, gli ha trasmesso disciplina e precisione. L’altro, artista bohemien, gli ha lasciato in eredità la vena creativa. Non è un caso che i suoi primi ricordi siano legati al gusto: il miele sul ciuccio per calmarlo, il profumo della farina, le prime incursioni in cucina. Piccoli semi che hanno germogliato in quella che oggi è una carriera stellare.
La gavetta tra Parigi e Ducasse
Diplomato all’École nationale supérieure de la pâtisserie di Yssingeaux nel 2006, Grolet non perde tempo: si trasferisce a Parigi e inizia da Fauchon, uno dei templi della boulangerie francese. Qui impara da Christophe Adam, il “re degli éclair”, e poco dopo approda al Meurice, nell’universo di Alain Ducasse. Ed è proprio Ducasse a offrirgli, a soli 26 anni, il ruolo di chef pâtissier: un traguardo che segna l’inizio della sua scalata. Da lì in avanti colleziona premi su premi – Miglior pasticcere di Francia nel 2015, Miglior pasticcere del mondo nel 2017 e nel 2018 – e apre boutique da Parigi a Londra, da Saint-Tropez a Singapore, fino alla più recente a Montecarlo.
I frutti trompe-l’œil e la rivoluzione social
La sua cifra stilistica è diventata iconica: frutti e fiori trompe-l’œil che sembrano vere sculture, dolci che ti fregano con l’occhio prima ancora che con il palato. L’ispirazione? Ancora una volta la sua infanzia: “I miei genitori non mi mettevano le merendine nello zaino, ma frutta fresca. Da lì l’idea di partire dalle forme perfette della natura”. All’inizio in molti lo prendevano in giro, oggi lo copiano tutti. Ciliegie, limoni, nocciole, fino ai cookies alla frutta: creazioni che hanno conquistato non solo i clienti, ma soprattutto i social, trasformandosi in uno dei contenuti più fotografati e condivisi al mondo.
E qui veniamo all’altro aspetto che spiega il fenomeno Grolet: la sua capacità di usare i social come pochi altri. Quando ha caricato il suo primo video su Instagram non immaginava che avrebbe aperto la strada a milioni di visualizzazioni. Oggi dedica metà del suo tempo alla creazione di contenuti: due giorni a girare, gli altri a montare e pianificare. Non un passatempo, ma un vero asset strategico che ha contribuito a trasformarlo in brand globale.
Prezzi alti, code infinite e la filosofia “più criticano, più comprano”
Non è un caso che davanti alle sue boutique ci siano file chilometriche per assaggiare un croissant da cinque euro o una torta trompe-l’œil da collezione. Alle critiche sul prezzo o sulle code risponde secco: “Le mie pasticcerie sono sempre piene. Più criticano, più si mettono in fila”. Una filosofia che spiega bene il successo: trasformare anche le polemiche in hype.
Tra ansia da flop e sacrifici personali
Dietro la facciata del pastry star tatuato, in sneakers e jeans larghi, con il suo Akita Inu Rivoli sempre accanto (“per me è come un figlio”), resta però una certa fragilità. Grolet ammette di avere sempre paura prima di un’apertura: “A Singapore sognavo che non sarebbe venuto nessuno. A Parigi lo stesso. Succederà anche in Italia”. Un’ansia che attribuisce all’educazione severa ricevuta, che lo porta a sentirsi costantemente in difetto, come se non fosse mai abbastanza.
Eppure i fatti parlano chiaro: riconoscimenti internazionali, successo economico e popolarità planetaria. Ma al di là dei titoli, quello che colpisce è la sua determinazione: “Per 15 anni ho rinunciato alla famiglia. Fermarmi ora vorrebbe dire vanificare tutto”. Un prezzo alto, che racconta bene il lato meno glamour di un successo costruito con fatica.
E allora eccoci qui, in attesa dell’apertura italiana. La location è ancora segreta, ma lui stesso ammette di amare la Toscana, il Lago di Como e l’eleganza della cucina italiana. Che sia Milano, Roma o chissà dove, la domanda è una sola: siamo pronti a fare la fila per un dolce che costa quanto un aperitivo sui Navigli?