Alla fine ce l’abbiamo fatta, dai. Dal 2026 entrerà ufficialmente in vigore la normativa europea sulla trasparenza salariale, che obbligherà le aziende a dichiarare la retribuzione negli annunci di lavoro. Ci voleva tanto? Evidentemente sì, visto che in Italia succede solo in un annuncio su cinque. E, incredibile ma vero, non siamo nemmeno i peggiori: riusciamo a battere pure i tedeschi, che di solito sono i secchioni d’Europa.
La direttiva europea sulla parità salariale e sulla trasparenza retributiva, approvata dal Parlamento Europeo nel marzo 2023, adesso è entrata nella fase di implementazione negli Stati membri. Con l’avvicinarsi del 2026, le aziende europee devono mettere in atto un bel cambiamento: indicare la RAL negli annunci di lavoro.
Perché è un passo importante
Dietro questa novità non c’è solo la questione del “cercare il miglior candidato al minor prezzo”, trattando la forza lavoro come i muffin del discount. Il problema è più profondo: un’economia che arranca, obiettivi aziendali fuori scala, settori in crisi e una certa difficoltà – in parte reale – nel capire quanto vale davvero un candidato. Diciamocelo: chi non si è mai trovato davanti al curriculum di un totale incapace? E chi non ha pensato, almeno una volta, “questo prende più di me”?
Poi, va detto, noi italiani coi soldi abbiamo un rapporto complicato (tranquilli, ci riferiamo a chi vive fuori dalla circonvalla.) Siamo un popolo che ama farsi i fatti degli altri, ma appena si parla di stipendio, cala il silenzio come se si stesse bestemmiando in Duomo. Senza arrivare agli eccessi degli americani — che ti chiedono quanto guadagni prima ancora di dirti “ciao” — il nostro pudore retributivo ci ha fatto più male che bene. È come se avessimo sviluppato una sindrome di Stoccolma aziendale: ci sembra di dover essere grati al datore di lavoro solo perché “ci paga”.
A rafforzare questo delirio ci hanno pensato pure i vari guru del work-life balance, che su LinkedIn ci vendono la favola del lavoro come “percorso spirituale verso l’autorealizzazione”. In realtà, dietro a tutto questo benessere da open space, la domanda vera resta una sola:
“Chi sarebbe disposto a pugnalare un collega per 300 euro in più (lordi) al mese?”
Per carità: bello l’ufficio con palestra, pub, lavanderia, cucina, terrazza e magari pure la sauna. Ma era chiaro il trucco: compensare la mancanza di grana con i benefit e rendere l’ufficio così accogliente da farti dimenticare che stai lì dentro dodici ore al giorno. Tanto, a casa, ti aspettano 50 metri quadri a Lorenteggio e una bolletta che fa piangere anche il portafoglio del CFO.
Nessuno rimpiange gli uffici fantozziani, ma onore a chi ha capito che i soldi vengono prima di tutto. Perché alla fine la speranza è che questa nuova legge ci liberi da annunci deliranti tipo “cerchiamo stagista con dieci anni di esperienza” o “manager con passato da Presidente della Repubblica”.
Avrà effetti positivi sulle retribuzioni? Chissà. Ma di sicuro rivoluzionerà le chiacchiere alla macchinetta del caffè. Basta parlare del meteo o del Milan: ora si potrà discutere degli stipendi veri, fare due conti in tasca ai colleghi e finalmente dare un senso a quel liquame bollente che beviamo ogni giorno. Un brindisi alla trasparenza, e che sia l’inizio di un’Italia un po’ meno ipocrita e un po’ più meritocratica.
Autore: Francesco Cellini