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Lifestyle
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Questo week end Milano era un piatto ricco di cose da fare.

Ma un mese fa, avevo già puntato come un setter inglese l’unico evento a cui sarei andata: il Mi Ami Festival.

Precisazione: non era la mia prima volta ad un festival musicale né al Mi Ami, eppure qualcosa è profondamente cambiato.

La mia età anagrafica.

Rara gif mentre acquisto i biglietti del Mi Ami.

Già in coda per il parcheggio, inizio a sentire uno strano rimescolamento nelle viscere; ogni volta che incrocio lo sguardo di qualche estraneo, la sensazione si amplifica.

Alla fila per il ritiro del biglietto, arriva l’epifania: le persone che mi stanno attorno hanno in media 10 anni in meno di me.

Un decennio; ci sono regni durati molto meno tempo.

Inizio a sentirmi fuori luogo e confusa, pensando a come sarà mai possibile che questi giovani favolosi siano QUI per gli stessi artisti che voglio sentire io.

Ma la domanda giusta avrebbero dovuto farla loro (i giovani) a me.

Il primo indizio della mia sindrome di Peter Pan autodiagnosticata, ce l’ho notando che le altre ragazze (non le amiche con cui sono) indossano scarpe impegnative.

Tacchi, sandali con zeppa, ciabatte molto belle e molto scomode.

Mentre io, prima di uscire di casa ho provato tre differenti sneakers per capire quali fossero le più comode. Individuate in un paio con suola rinforzata, ho pensato di aggiungerci una suoletta defaticante che «chissà quanto starò in piedi».

Quando per uscire si inizia a preferire la comodità sopra all’essere figa, la fine si sta avvicinando. Magari lentamente, ma comunque quella distanza si sta accorciando inesorabile.

Arrivo in ritardo per uno dei gruppi che volevo assolutamente vedere, mi godo tre canzoni e poi inizio a rimuginare, pentirmi e lamentarmi perché:

1_C’è troppa gente ed è rumorosa. Tipica frase da anziana adesso vi buco il pallone.

2_Sono stanca, e nel week end bisogna riposarsi che poi lunedì si lavora. Solo un vecchio con 40 anni di lavoro sulle spalle stanco di tutto si farebbe venire questi pensieri il venerdì sera. Alle 21.30.

3_Il gruppo ha suonato poco e non mi sembra corretto, perché insomma, no? E invece no, ero IO in ritardo. Ma anche questa attitudine è tipica degli anziani che brontolano per tutto, cercando colpevoli altrove e ovunque.

4_C’è troppa fila al bar ma io devo idratarmi, che se non bevo poi digerisco male. Se sei ad un festival e il tuo problema è idratarti perché non vuoi affaticare la tua digestione, be’ sei vecchio. E io infatti, mi ero portata una bottiglia d’acqua da casa. Anche l’essere troppo previdenti è sintomo di anzianità.

A questo punto però, il mio istinto di sopravvivenza prende la meglio e capisco che quel momento di sconforto e frustazione può diventare un momento di recupero.

Mentre tutti (i giovani che sanno godersi la vita) sono sotto al palco, io decido di cercare un metro quadrato di prato su cui riposarmi aspettando il cantante successivo nella mia scaletta.

E qui, ripiombo subito nell’astio: ma perché non mi sono portata un telo come l’altra volta? Così non mi sporco, posso sdraiarmi comoda e quindi risposarmi di più.

Ma chi cazzo va al Mi Ami sperando di riposarsi? Io, ormai invecchiata.

E mentre sono lì a defaticare, raggiungo il punto più alto di consapevolezza, riscoprendomi a pensare «chissà cosa fanno in TV stasera».

Appena realizzo la gravità del mio pensiero cerco di tornare in me, di darmi un tono.

Ingollo due birre (no cocktail che se bevo alcool non di qualità poi ne risente tutto il mio vecchio organismo) che mi danno la carica del caffè e l’energia del cioccolato per andare a saltare a tempo in mezzo alla bolgia.

Inizia il gruppo che aspettavo, età media 22 anni. Solo 8 meno di me, mi consolo.

Un concerto pazzesco che canto tutto urlando come Pappalardo, fino a quando mi sento sdoppiare come se mi stessi guardando da fuori: disagio.

Vedo me, questa nave scuola musicale, in mezzo a quell’esercito di post adolescenti e realizzo con terrore che sono quel tipo di persona che 10 anni fa prendevo in giro.

La tardona che non cresce. Charlize Theron in Young Adult.

Scaccio il pensiero e mi concentro solo sul concerto che mi sta facendo dimenticare le mie rughe, anche perché lui (il cantante) mi smuove tutto il Monte di Venere e live è ancora più croccante.

Naufragando dolcemente nei miei sogni umidi in cui lui è il padre dei miei figli, mi ricordo la sua età e vengo riportata a Linate dal suono delle sirene della polizia che sento in lontananza.

Una buffa coincidenza.

Anche nell’ultimo metro di quella mia serata, la vita decide di tirarmi un coppino.

Sono le 2 e i concerti sono finiti, mi avvio verso l’uscita stanca e sconfitta trascinandomi pesantemente, aggrappata al sogno del letto su cui dormirò: mentre io esco orde di ragazzini stanno facendo il biglietto all’ingresso perché adesso si balla.

Dopo questo Mi Ami, ho deciso di darmi una sola regola per il futuro:

è ok andare ai festival se almeno un artista in line up è più vecchio di te.

Altrimenti, TV, plaid, tisana detox e via a vivere la notte.

Ma se al Mi Ami 2013 ha suonato Patty Pravo, io non mi arrendo, almeno finché le gambe mi reggono.

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