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Al mondo ci sono tantissime persone sicure di sé. Grazie al loro essere estroverse, sarebbero capaci di intavolare una conversazione anche con un ceppo di radicchio: sì, esatto, un po’ come i commessi di Foot Locker. Solari, intraprendenti e dalla personalità guizzante, gli estroversi hanno il privilegio di riuscire a fare ciò che noi timidi non sappiamo che cosa cazzo significhi: vivere. Al pari del noumeno per Kant e di una nota al di sotto delle frequenze dei delfini di Ariana Grande, avere dei rapporti con altra gente rappresenta l’irraggiungibile per noi affetti da timidezza. Ma se da un lato non capiremo mai gli estroversi, ecco quanto sia deleterio per noi timidi vivere la vita di tutti i giorni:

L’ultima festa in cui siamo stati capaci di presentarci a qualcuno di sconosciuto è stata il Battesimo. Noi timidi non andiamo a una festa, ma inseguiamo e sequestriamo l’unico essere che conosciamo. Come alle cozze è stato dato il proprio scoglio, a noi timidi è stato dato il compito di stare sempre in mezzo ai coglioni di qualcun altro.

A seguito dell’annullamento di un’uscita con due o più persone, se da un lato c’è chi piange di dispiacere, noi timidi la prendiamo come un’assoluzione in tribunale.

Vorremmo che anche a venticinque anni la scusa del mia mamma ha detto che non posso uscire venisse considerata valida e utilizzabile.

Avere a che fare con prassi quotidiane come:
«Come mai non parli mai? Sei così timido?»
«Sì, pure, però mi stai anche sul cazzo.»

Ci piacerebbe poter avere quella dicotomia interna per cui ci vorremmo uscire mentre siamo a casa e, invece, avere il desiderio di tornare quando siamo fuori. Il problema è un altro: non vogliamo proprio uscire. Non vogliamo proprio vedervi.

A noi timidi serve tempo prima di sentirci a nostro agio in una conversazione. Dobbiamo calibrarci, soppesare le giuste parole da dire. Altrimenti, va sempre a finire così:
«Ciao! Piacere Luca, tu come ti chiami?»
«Sedia»

Guarda caso, per non uscire proprio ma proprio mai, noi timidi abbiamo:
sei nonne morte nel giro di anni;
otto compleanni di nostra madre;
influenza 24/7, domeniche e Natale compresi;
impegni vari già (purtroppo) confermati, ossia: stare sul divano arrotolati nel plaid come un fusillo Barilla e aspettare che il sole cali per correre a letto.

Non salutiamo gente che conosciamo ma non vediamo da anni per motivi scientifici. Ogni sette anni, ogni cellula del nostro corpo è rimpiazzata da una uguale e nuova. Quindi, di conseguenza, siamo persone completamente diverse da quelle che avete conosciuto. Per questo non dovete salutarci.
Non ci conoscete.

 

Articolo scritto da Andrea Perticaroli

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