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C’è un momento specifico, nella vita di tutti, in cui qualcosa si rompe. In particolare, le palle dei nostri genitori a vederci, ancora!, a casa con loro. E come dargli torto: le ambizioni che nutrivano verso di noi da piccini sono finite peggio delle aspettative dei Sonohra di arrivare nella classifica Billboard. Ma dopo la laurea triennale, durata quanto la corona di Elisabetta II, e dopo aver trovato un posto di lavoro stabile quanto la relazione tra Brad Pitt e Angelina Jolie, ci abbiamo provato a diventare adulti.

Abbiamo tentato, fallito, di nuovo fallito e irrimediabilmente fallito. Perché nonostante nostra madre ci avesse avvertito delle innumerevoli peripezie che caratterizzano quotidianamente la vita di merda di un adulto, nessuno ci aveva sufficientemente preparati su quelle che DAVVERO sono le terribili consapevolezze nel diventare grandi:

• Trovarsi una casa. O meglio: un cesso in cui vivere. Dopo aver appurato di avere un budget tale da poterci permettere una palafitta sulle rive del Seveso, da che cercavamo online trilocali con ampio balcone, ci siamo accontentati della dicitura cerco balcone dove dormire.

• Un lavoro ben retribuito. I sogni son desideri: chiunque vorrebbe avere un lavoro tale da non schiodare il culo dalla sedia ed essere remunerato 9k al mese; ma ci si deve arrangiare con quello che c’è. Ed è forse per questo che non ci pare poi così strano fare contemporaneamente il meccanico, il baby-sitter, l’operatore ecologico, il cameriere e il commesso per riuscire a pagare due bollette e sei scatolette di tonno.

• Il pensiero struggente nell’aver creduto che il riposino pomeridiano, da piccoli, fosse una punizione. Ma come cazzo stavamo?

• Piuttosto che trovare il coraggio di chiamare il proprio medico di base e dire di star male, viviamo la vita come se potessimo essere immuni dai virus. E infatti non è poi così tremendo questo raffreddore preso nel 2003: passerà. Sicuro che passerà.

• Dopo i venticinque anni, si scoprono porzioni del proprio corpo che mai avremmo creduto d’avere. E solitamente, le si scopre per il male. Oltre a quello di vivere, c’è pure il mal di collo, di schiena e di gambe. Quindi, in caso ci vedeste ruotare per salutarvi anziché girare unicamente il collo, non fate domande: probabilmente siamo usciti senza sciarpina durante una giornata con una brezza e 18 gradi.

• Scoprire con disgusto che effettivamente le mele, la zuppa di carote e i cavolfiori sono buoni per cena.

• Per riuscire a incastrarsi con gli impegni di un altro adulto e organizzare una serata tra amici, ogni volta, va più o meno così:
– si propone l’incontro a dicembre del 2006;
– a marzo 2010 si riceve risposta dalla controparte;
– ci si organizza per un lunedì di maggio del 2016;
– naturalmente, quel lunedì uno dei due lavora;
– ci si organizza nuovamente per un martedì, mercoledì o giovedì di febbraio 2018;
– naturalmente, anche col cazzo che si esce;
– fine: 2018, non si è usciti e non si è più amici.

• Scoprire con rammarico che la frase apostrofata come profezia capirai quando sarai adulto è veritiera quanto capire come cazzo si paghi un bollettino in posta.

• Se da piccoli desideravamo mangiare qualsiasi cosa ci venisse in mente, adesso che possiamo, vogliamo qualcuno che ci tolga questo potere e ci allontani dall’obesità di quarto grado.

• Mettere da parte l’orgoglio e chiamare la propria madre per ogni incombenza. Si è rotta la lavatrice? Grazie a tua madre scopri che, se non l’accendi prima, non parte. Grazie a tua madre e grazie al cazzo.

• Complessivamente, essere adulti è molto semplice e lineare: ti senti stanco come la merda 24/7 e dici alla gente quanto tu sia stanco come la merda 24/7 e loro ti rispondono descrivendoti quanto siano stanchi come la merda 24/7. Esatto, aperti 24/7 come i Carrefour: noi adulti 24/7 aperti, ma alla stanchezza.

Credit immagine di copertina

Articolo scritto da Andrea Perticaroli

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