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Lifestyle
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Chi, come me, è nato negli anni ’80 non è stato cresciuto dai genitori, ma dalla televisione. E non una televisione qualsiasi, ma la tv privata di Berlusconi nel suo più alto boom ideologico. Mia madre era Enrica Bonaccorti NERA per l’imbroglio al cruciverbone e mio padre Mike Bongiorno che litigava con Antonella Elia per le pellicce Annabella di Pavia.

Tutto accadeva a Milano. Cioè a Milano 2, per poi confluire negli studi di Cologno Monzese. Ricordo che era appena scoppiata Tangentopoli, ma nella mia testa di bambino c’erano solo Uan, Debora e Manuela che leggevano le letterine indirizzate a Bim Bum Bam, Palazzo dei Cigni, Milano 2. Poi vennero i brufoli e Buona Domenica, i compiti di matematica e Mai Dire Gol, i primi baci e i film di Pozzetto, Villaggio, De Sica, Calà in seconda serata.

La mia vita e quel mondo di applausometri e paillettes erano un unicum senza soluzione di continuità.

Ma soprattutto c’era Fiorello su Italia 1 con il Karaoke (mi sogno la notte le sue giacche pre-Balenciaga!) e il Festivalbar, con il trio Amadeus-Marcuzzi-Casalegno, in Piazza del Plebiscito o in diretta dall’Arena di Verona. Nell’estate del 1997 il mio unico problema era: compilation blu o compilation rossa?

Bene, ora Milano rivuole indietro quella roba lì. Inspiegabilmente. Come un pesante pranzo di Natale che digerisci dopo qualche giorno, siamo nel 2018 e tanta gente vuole rivivere, anche solo per una notte, quella bulimia televisivo-musicale che tanto ci riempiva gli occhi e le orecchie.

Sarà capitato anche voi di ricevere, su Facebook, inviti a serate dai nomi esotici tipo Discoteca Italiana o Festivalbar Lovers, dense di contenuti trash italiani anni ’80 e ‘90. Ecco, ognuna di queste serate dà voce a un folla di disperati – me compreso – accomunati da un amore tossico per il nazionalpopolare.

Il party più bizzaro in città è forse Disco Piano Bar: un karaoke/djset, con microfoni aperti e testi proiettati, in cui il pubblico si sgola sui brani della Pausini o di Nek – ma anche dell’ITPOP dei giorni nostri – fino a perdere la ragione. Sulla pagina Instagram della serata c’è perfino un video di Calcutta che canta (male) un pezzo di Loredana Berté.

Tutto questo è un caso o il segno dei tempi – stranissimi – che stiamo vivendo?

Io dico che siamo nati in cattività. Come animali tenuti nelle gabbie delle nostre camerette, illuminati solo dalla luce bluastra dalla tv, per anni abbiamo scambiato quei programmi Rai e Fininvest per la nostra vita, e a quell’immaginario abbiamo associato, nel bene o nel male, i nostri ricordi. E non è bastato Internet per farceli passare. Sentimenti come rabbia, rancore, ma anche gioia e sballo per quell’adolescenza passata davanti e dentro alla tv, ora tornano a farci visita sottoforma di party.

E quindi balliamo. Esorcizziamo i nostri mostri come certe tribù dell’Amazzonia meridionale. Perché continuare a ballare, a muoversi, ed essere aperti agli imprevisti, come scrive Murakami in Dance, Dance, Dance, o come fa Gianluca Vacchi nei suoi video, è la più grande lezione che possiamo apprendere.

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