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Il libro che prevedeva la fine del mondo in 100 anni, ne ha già compiuti 50: siamo a metà strada e la situazione è nera

Nel 1972 il Club di Roma pubblicò un libro che prevedeva la fine della civiltà in 100 anni. Gira che ti rigira, ne sono già passati 50

Beh raga, abbiamo già perso metà del tempo disponibile. Per cosa, dite? Per salvarci dall’estinzione. O almeno è quello che diceva il libro I limiti della crescita, edito dal Club di Roma, un’organizzazione internazionale di scienziati e intellettuali fondata nel 1968. Ma non lo diceva l’altro ieri, bensì 50 anni fa. In pratica siamo giunti a metà del tempo che ci rimane.

Il libro al tempo ebbe un enorme successo – venendo tradotto in ben 30 lingue – e scalpore, vista la previsione a dir poco catastrofica. Ma non mancarono le accuse, visto che tale profezia si basava su un modello computerizzato decisamente scadente, che simulava sistemi complessi in maniera fin troppo semplicistica.

Arrivati a metà strada, è tempo di guardare a cosa abbiamo fatto e a cosa è cambiato in vista di quelli che potrebbero essere i nostri ultimi 50 anni di storia. Per questo, lo stesso Club di Roma ha pubblicato un nuovo libro, Limits and Beyond: 50 Years on From The Limits to Growth, What Did We Learn and What’s Next?.

Quello che dovrebbe farci preoccupare, secondo il vice-presidente dell’associazione Carlos Alvarez-Pereira, è una combinazione di cinque variabili principali: crescita della popolazione, produzione alimentare, produzione industriale, sfruttamento delle risorse naturali e inquinamento. In pratica, se un paio di queste vanno oltre il limite (come praticamente stiamo facendo da 100 anni), we are fucked. E il problema è che negli scorsi 50 anni abbiamo fatto poco e niente per invertire la tendenza: “Ciò che il sistema ha fatto è stato bruciare il futuro. E il futuro è la risorsa meno rinnovabile. Costruendo un sistema sempre più orientato al debito – dove continuiamo a consumare, creando però sempre più debito – quello che stiamo facendo è bruciare o rubare il tempo dei posteri”.

La soluzione? Rallentare, e anche di brutto: “Dobbiamo considerare che il benessere deriva dalle relazioni, e non necessariamente da un alto grado di consumo materiale. È la qualità delle nostre relazioni con gli altri esseri umani, con la natura, che rende possibili gli scenari in cui è possibile separare il benessere dalla crescita dei consumi. E si può ridurre drasticamente l’impronta ecologica dei paesi ricchi”. Per fortuna pare che qualcosa, almeno a livello culturale, stia cambiando per il meglio. E c’è poco da negare: o si cambia o sono cazzi: “A livello di aziende, a livello ufficiale, le cose stanno andando nella direzione sbagliata. A livello culturale, sotto la superficie, scommetto che molte cose stanno andando nella direzione giusta. La rivoluzione umana è già in atto, solo che non la vediamo”. C’è speranza, dai.

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