Lo sciopero dei mezzi per l’Imbruttito è l’apoteosi dello sbatti. Gli fa sballare tutto il planning giornaliero, che di solito comprende un numero imprecisato di ore tra meeting, pranzi di lavoro, ritiri in lavanderia, conf call, corsi di yoga, cene gourmet, eccetera.
Ma uno sciopero può definirsi riuscito solo se riesce a farti tirare giù i porconi.
Quello dell’8 marzo, però, non è semplicemente uno sciopero dei mezzi (prendete nota, così non smadonnate: sospensione trasporti ATM prevista dalle 8:45 alle 15:00 e dalle 18:00 fino al termine del servizio), bensì uno sciopero nazionale del settore pubblico e privato indetto dai sindacati CUB (Confederazione Unitaria di base), USB (Unione Sindacale di Base) e SGB (Sindacato Generale di Base).
Allo sciopero generale aderisce anche il movimento femminista Non una di meno, con attività in diverse città italiane per attuare uno sciopero globale femminista.
Ma perché si sciopera?
Non per mandare in sbattimento l’Imbruttito sottraendogli un giorno di prezioso fatturato e neanche al fine di creare un weekend lungo per andare a Ibiza, ma per denunciare «tutte le forme di violenza che sistematicamente colpiscono le nostre vite, in famiglia, sui posti di lavoro, per strada, negli ospedali, nelle scuole, dentro e fuori i confini», come si legge nell’evento ufficiale di NUDM, che ha precisato il senso dello sciopero anche in questo post, criticando un contenuto uscito su questa pagina alcune settimane fa.
Milano è la città che mi ha adottata, essendo io originaria del profondo Sud. Sono felice di vivere in una realtà impegnata contro ogni forma di discriminazione, basti pensare alla sentita partecipazione ai Pride e alle migliaia di persone che giusto lo scorso 2 marzo hanno aderito alla marcia People – prima le persone, dov’era presente anche il Sindaco Sala.
L’8 marzo si marcia e si sciopera non solo per i diritti delle donne, ma di tutte le categorie oppresse e discriminate per genere e orientamento sessuale (sorpresa, sono due cose diverse!), religione, etnia, condizione sociale ed economica. Lo sciopero non riguarda solo le donne, ma tutti quelli – quindi anche gli uomini – che si oppongono al sistema sessista, razzista e omofobo che permea la società.
Il problema delle donne non sono le femministe che appoggiano, tra le altre cose, uno sciopero dei mezzi. E non sono neanche gli uomini. Il problema delle donne si chiama patriarcato: quel sistema in cui siamo immersi tutti, uomini e donne, e che genera disparità e violenza. Un sistema di cui alcuni non si accorgono neanche, ma che agisce per mezzo loro, volenti o nolenti.
Noi donne ci ritroviamo, quotidianamente, a combattere contro disagi ben peggiori che doverci alzare 45 minuti prima per prendere la metropolitana in sciopero e accapigliarci ai tornelli che manco ai saldi da Zara.
Lottiamo contro cose come le ciabatte col pelo durante la Fashion Week.
Contro il tasso preoccupante di violenze sulle donne e di femminicidi, la disparità salariale, le gerarchie di potere, gli ostacoli per accedere all’aborto e la lista potrebbe continuare a lungo.
Contro l’eau de ascella pezzata sulla 90.
Contro il fatto che siamo in un periodo storico dove ogni diritto acquisito in decenni di lotta femminista sembra poter esserci sottratto da un momento all’altro.
Dulcis in fundo: no, non siamo morte, ma siamo qui e continuiamo a lottare.
Articolo scritto da Marvi Santamaria, autrice del blog Match and the City
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