Dalla Grande Mela i complimenti alla grande Milano sono arrivati tramite le colonne del The New York Times, che ha celebrato la città Imbruttita quale «capitale italiana della moda e del design, che sta allargando i suoi orizzonti grazie a nuovi progetti culturali aperti nelle ex zone industriali».
Anche negli USA, dopo una prima celebrazione nell’anno di Expo, hanno deciso di esaltare nuovamente Milano, che non è più solo città di sfilate e settimane del design, ma una metropoli che sta vivendo un momento florido e frizzante da tanti punti di vista; ed ecco perché una visitina se la merita. Si, perché se gli imbruttiti ogni tanto per sbatti di lavoro o per piacere negli USA ci vanno, il NY Times ha deciso invece di elencare i posti consigliati per gli statunitensi che si trovano a fare un salto qui da noi. E i tips, in effetti, non sono solo mondani o modaioli, ma includono molta cultura, con un tocco nemmeno troppo velato ma comunque sorprendente di hipsterismo acuto.
Cosa fare quindi a Milano in 36 ore? Per il celebre quotidiano americano non possono mancare i must come piazza Duomo, la Pinacoteca di Brera, la Triennale e i Navigli. E fin qui l’effetto sorpresa è minore di una nuova polemica a Pomeriggio 5. Poi, essendo anche il 500esimo anniversario della morte di Leonardo Da Vinci, si consiglia di non perdere non solo il Cenacolo, ma anche la Vigna di Leonardo.
E poi? Un salto alla Fondazione Prada, al Mudec e al Base. Tra gli altri luoghi da non perdere sono invece segnalati: 28 Posti, innovativo bistrot in via Corsico; il Birrificio Italiano, per scoprire il rito tipicamente milanese dell’aperitivo; e poi l’East Market, l’Ostello Bello e la Balera dell’Ortica. In particolare, nella descrizione della Balera si narra la sua «atmosfera conviviale che ricorda quella delle tipiche sagre italiane, lunghi tavoli in comune e complessi che suonano Volare, mentre hipster e pensionati si affrontano per il predominio del campo da bocce».
Quindi i poveri sciuri della Balera, che tanto stavano tranquilli, prima si sono dovuti sorbire gli hipster, e ora rischiano pure di avere la schiera di americani che prova a ballare l’Alligalli.
E comunque, si legge sul NY Times, a Milano «un biglietto che consenta l’accesso illimitato ai mezzi è un investimento più saggio di un paio di scarpe di design».
You are right man, phega!
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