Chi più, chi meno, al ristorante ci si va con estremo piacere: finalmente, per due ore, si è serviti e riveriti con pietanze leggermente diverse dal solito tonno con contorno di pomodorini e tristezza. E dato che non tutti disponiamo del patrimonio dell’ultimo vincitore del Superenalotto, ci aspettiamo che l’uscita al ristorante sia impeccabile: buon cibo, buona compagnia, ma soprattutto calma e relax per una minchia di volta! Purtroppo, però, le esperienze culinarie fuori casa mi hanno lasciato più volte con un bagaglio emozionale tale da poter stilare cinque categorie di persone, o meglio: i Giargiana da ristorante, che chiameremo per neologismo i GIARGIARISTO. I Giargiartisto sono riusciti e riusciranno sempre a rovinare anche una cena a lume di candela sul tetto del Duomo di Milano, di fronte alla Madoninna, serviti da Carlo Cracco in guanti di zucchero filato.
Tra loro annoveriamo:
IL NUCLEO FAMILIARE
Entri al ristorante pacifico come un francescano, rispondi anche tu alla regola Ora Et Mangia. Ti siedi, noti che accanto al tuo tavolo c’è una tavolata ben apparecchiata con 16 coperti, ma non ci dai peso. Ti portano da mangiare, tutto prosegue alla perfezione fino a quando la gabbia si apre, il ristorante intero si volta verso la porta d’ingresso in un silenzio che neanche durante il momento di penitenza a messa: la famiglia è arrivata. L’adunata è tale da poter contare più persone di una fila alle poste, roba da Carnevale di Rio. L’elemento più anziano del gruppo si racconta abbia toccato con mano Ferdinando d’Aragona e, da lui, l’albero genealogico al completo si siede accanto alla tua voglia di evaporare e andartene a casa a piangere. Cominciano il banchetto emettendo suoni che neanche allo zoo di Fasano; per poter continuare a parlare coi tuoi commensali non ti rimane altro che aprire Whatsapp o uscire e prendere il megafono dalla volante della polizia che nel frattempo hai chiamato. Pensi: piuttosto che aspettare il dolce per poi riuscire ad andarmene, non mastico questo tocco di carne e mi ci strozzo volentieri.
LA COPPIA CHE SCOPPIA
Non li noti neppure appena entri al ristorante con la voglia di mangiarti pure le gambe del tavolo: parlano tranquillamente, si vede che stanno insieme da parecchio. Sa il cazzo come o per quale fantomatico motivo, da che i due rasentavano la calma di Madre Teresa di Calcutta i toni si trasformano in un intervento di Vittorio Sgarbi da Bruno Vespa. Il tuo risotto allo zafferano viene condito da rancori risalenti al 2002, di lui che ultimamente si sarebbe scopato pure la portiera della macchina piuttosto che la moglie, di lei che piange e lo minaccia di non fargli vedere più i figli – rivelatisi essere rigorosamente di un altro –, e di tutto il ristorante che assiste alla scena come il pubblico di Forum davanti a Santi Licheri. I due continuano imperterriti senza ricordandosi di non essere dall’avvocato con le pratiche utili per il divorzio. Tu te ne vai, dopo la puntata di cuori infranti sfumati al vino bianco, senza sapere se Rebecca e Alessandro fossero davvero figli legittimi o dell’idraulico Luciano. Speri di no.
IL SOLITARIO
Entri ed è già lì, chino e concentrato nella masticazione, silenzioso come un condizionatore Dyson. Non emette rumori, neanche quando poggia le posate dopo aver finito la pietanza: più che un commensale sembra un ologramma, della stessa vitalità di un cartonato pubblicitario. Ordini e arrivano finalmente, per te e i tuoi amici, le pizze agognate. Il solitario vi scruta da lontano, utilizzando la sua visione periferica per non dar troppo nell’occhio. Senti che a ogni boccone della tua bufalina c’è un’attenta analisi da parte del suo sguardo alla Horatio Caine in CSI scena dell’impasto da forno a legna. Ti vengono immediatamente dei dubbi: magari lo conosci? magari la pizza doveva prima arrivare a lui che a voi? magari sulla pizza stessa c’è l’apparizione della Madonna di Medjugorje e tu te la stai mangiando? Chissà. Ma dopo essersi fatto una bella caraffa di cazzi tuoi, il solitario si alza, paga e prima di andarsene incrocia il tuo sguardo come se ti dovesse dire qualcosa, come se fosse quell’ex compagno delle elementari a cui avevi fregato il saccottino alla marmellata. Infine capisci la ragione per cui è solo: ma chi cazzo lo vuole uno così?
I MASTERCHEF
Forse parenti di Alessandro Borghese, forse cugini di Davide Oldani, li vedi entrare con quella puzza sotto al naso che manco un milanese nel vedere che la metro per San Babila ha un’attesa di 3 minuti. E tu che sei abituato a mangiare pane e rassegnazione, ti gusti ebbro di piacere il tuo piatto come se non mangiassi da sei mesi o fossi di ritorno da una missione umanitaria in Kenya: mangeresti pure l’olio del motore della Panda, per intenderci. E poi vedi loro toccare quel prelibatissimo filetto di manzo in crosta di pistacchio come se fosse un pezzo di pongo, sdegnandolo come tua nonna sdegna tua sorella che non finisce la parmigiana. Chiamano il cameriere, si fanno portare della pasta. Se ne lamentano perché, a detta loro, si sente che non è stata cotta in acqua a centosei gradi, ma a centododici. Che è, casualmente, proprio il numero che chiameresti tu per farli togliere dal cazzo e portarli in carcere a pane, acqua e buonsenso.
L’EX CON LA NUOVA FIAMMA
È uno dei tuoi ristoranti preferiti perché non lo conosce nessuno e fanno un cibo pazzesco; ma guarda un po’ i casi della vita, entri e ti fanno sedere proprio accanto alla personificazione del rancore: la tua ex. Preferiresti ordinare chiodi piuttosto che startene lì seduto, ma accetti con rassegnazione la continuazione del pasto. Lei si accorge della tua presenza e comincia a fare moine alla sua nuova fiamma, credendo di poter suscitare una qualsivoglia invidia nel tuo animo, come se avessi altre energie da spendere se non quelle per sfondarti di calorie e non muoverti dal divano per tre giorni post convalescenza. Però lo noti, non ci puoi fare niente: lei ordina e fa esattamente le stesse identiche cose che ordinava quando usciva al ristorante con te. E allora speri per il nuovo disgraziato che alla panna cotta coi frutti di bosco di lei, non segua anche il contorno di corna che a te era toccato assaporare. O forse non lo speri proprio. Senza forse.
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