Ultimamente mi capita spesso di parlare delle molestie sui mezzi pubblici con amici e amiche. In queste discussioni si intersecano punti di vista differenti e spesso esperienze molto lontane. Per esempio, ho degli amici di sesso maschile che non riescono a capire la vastità di questa piaga sociale, semplicemente perché a loro non verrebbe mai in mente di appoggiarlo sulla schiena di una sconosciuta in metro. (E per fortuna, direi.)
Invece, signori miei, la realtà è un’altra.
L’unica certezza che ho quando mi addentro in questo territorio scivoloso, è che tutte le mie amiche sono state, almeno una volta (cioè più volte), molestate sui mezzi mentre andavano al lavoro, a casa, a una festa, in palestra ecc. ecc. Di recente, in un momento di immersione negli affari altrui su Instagram, mi sono imbattuta in questo profilo molto interessante NextStopMi, che conferma ancora una volta la certezza di cui sopra. La molestia sui mezzi è reale, quotidiana e universale. Succede a tutte, tutti i giorni, a prescindere – ovviamente – da quanto siamo o non siamo carine, succinte, invitanti. E per sfatare il mito della linea 90 che spesso può essere un’esperienza ai limiti della realtà, sono qui per testimoniare che non è il mezzo che fa la molestia, ma l’individuo.
Metro Verde, estate, pomeriggio – Fermata Sant’Agostino
Ero sicuramente in ritardo e quindi sudata come Galeazzi durante una telecronaca. Imbocco le scale per andare a prendere la metro e finalmente un po’ d’aria condizionata. Mentre scendo, c’è un ragazzo di qualche anno più grande di me che invece le scale le sta salendo. L’idea migliore che questo essere riesce a concepire in quei 5 secondi in cui ci passiamo a fianco, è allungare una mano verso la mia gonna e tirarla su. Mi ha letteralmente alzato la gonna. Come si fa all’asilo o come immagino si faccia all’inferno da cui proviene l’uomo della metro verde.
Sconvolta e incazzata cerco di ricompormi (e coprirmi) mentre gli urlo le peggio cose imparate nei peggiori bar del Veneto. E qui succede l’impensabile: il signore dietro di me di 50 anni circa (avrebbe potuto essere mio padre) dice a voce inutilmente alta e ridendo: “ma che esagerata, e fattela una risata”. Non riesco davvero a capire cosa ci sia da ridere in uno sconosciuto che denuda una sconosciuta senza il suo permesso, in pieno giorno, davanti ad altri sconosciuti. Ma forse sono io ad avere un senso dell’ironia troppo raffinato, e per la cronaca sono il tipo di persona che ride quando sente un peto.
Tram 27, estate, orario pranzo – direzione viale Campania
Faceva un caldo che dio solo sa che punizione stessimo scontando. Ricordo i finestrini tirati giù da cui entravano blocchi di caldo e sudore che mi abbracciavano tipo copertina. Avevo un vestito di cotone con delle bretelline, quindi parte della mia schiena era scoperta. E questo dettaglio lo mettiamo qui, ci tornerà utile più tardi. Il tram era abbastanza deserto, come del resto Milano in quel periodo. Appena salita sono andata a sedermi in uno di quei posti singoli, tutti in fila. Improvvisamente, sento una brezza sul collo e sulla schiena, ma realizzo immediatamente che quel tram non ha l’aria condizionata e che fuori ci sono 35 gradi. Brividi. E non di quelli che mi sarebbe piaciuto sentire parlando di asfalto che si scioglie e temperature sopra l’umano sopportabile. Ed ecco che mi mi rendo conto che c’è un tizio dietro di me che mi soffia sul collo e sulla schiena. Mi sento così male che non riesco nemmeno a guardarlo in faccia, riesco solo ad alzarmi e mettere tra me e lui 10 sedili.
Passano 3 minuti, di nuovo Trieste e la sua Bora mi invadono schiena e collo. Di nuovo, senza degnarlo di uno sguardo, mi alzo e sta volta mi metto in piedi di fronte all’uscita. Di minuti ne passano forse il doppio: il soffiatore seriale mi si piazza dietro e va di combo vento sul collo + pene appoggiato. Ed è qui che succede una piccola magia: mi sale una rabbia cieca, ancestrale e inizio a urlare come il Baffo Roberto. Dico così tanti spergiuri a un volume così alto da deformare lo spazio tempo e ottenere una piccolissima e poco soddisfacente vittoria. Il soffiatore seriale va a sedersi al suo posto, guardando per terra, senza mai incrociare il mio sguardo e le mie bestemmie.
Metro Lilla, ma anche qualsiasi altro mezzo, in qualsiasi altro giorno.
Avete presente quando siete sedute in metro e pare che non ci sia spazio per voi, perché l’uomo a fianco ha deciso di imitare Van Damme e spalancare le gambe il più possibile? Bene, questa cosa ha un nome e va contrastata. Il manspreading è la mia battaglia quotidiana. Io non posso tollerare che un uomo si senta in diritto di sedersi con le gambe aperte quanto gli pare, occupando più di un posto e\o costringendomi a un contatto fisico che non voglio. Quindi, ogni volta che sento una gamba pesante e invadente spingere o strusciarsi sulle mie, io restituisco il favore. Inizio una specie di gamba-di-ferro\esercizio-per-tonificare-i-quadricipiti in cui spingo fortissimo le gambe del Van Dammerda finché non raggiunge una posizione composta, nel pieno rispetto di tutti gli altri passeggeri e grazie anche alle bestemmie che a denti stretti pronuncio tipo incantesimo di Harry Potter.
Metro Verde, autunno, post ufficio – Piola
Era ottobre, ma non faceva freddissimo e ricordo perfettamente com’ero vestita (questa cosa è ricorrente e bizzarra in tutti i miei incontri con uomini di merda dalla molestia calda). Indossavo una gonna sopra il ginocchio e un trench. La metro in questione era di quelle con i sedili a due a due uno dietro l’altro. Ero seduta lato finestrino, ascoltavo la musica e pensavo solo alla meritatissima birra di fine giornata lavorativa che avrei bevuto da lì a poco.
“Fermata Piola”, mi alzo e chiedo al signore seduto a fianco a me il permesso per passare. Con un gesto veloce e agile, dopo avermi fatto un cenno con la testa e mentre sto scivolando tra lui e i sedili per uscire, il merda mi infila la mano sotto la gonna, tra le gambe. Il gesto sembra quello che si fa per strisciare la carta di credito, ma dal basso verso l’alto. Non ho fatto in tempo a girarmi per augurargli che le mani gli cadessero assieme al cazzo, che lui stava già fingendo di guardare il telefono. L’impressione generale era di una ragazza in piedi, urlante, senza che nulla fosse apparentemente successo attorno a lei. E anche questa sensazione di impotenza, come il ricordo di ciò che indossavo, è una grande costante delle molestie sui mezzi. Alla fine sono scesa, incazzata come un elettore medio del M5S. Ricordo perfettamente di aver raccontato l’accaduto agli amici che dovevo incontrare e ancora oggi sento un profondo senso di ingiustizia per come il mio racconto alla fine sia stato archiviato sotto l’etichetta di cosa strana successa in metro. Non è una cosa strana, è una cosa orrenda. Strano è stato quando ho visto un signore fare la cacca sulla 90, ma questa è un’altra storia.
Per dare un’idea di quanto questo argomento non può e non deve essere esaurito in 4 episodi e in un solo punto di vista, riporto uno scambio molto illuminante che ho avuto con un amico. Per la sua privacy lo chiamerò Andrea F. (F sta per Fusco, il suo cognome).
Dunque, Andrea è un pendolare a cui capita spesso di prendere il treno a orari improbabili (sempre per la sua privacy, lavora nella comunicazione). Spesso decide di salire sul vagone in cui scorge una ragazza\donna da sola. I motivi per cui lo fa sono due: per prima cosa vuole dare man forte a una ragazza che a un orario tardo si trova da sola in un vagone di Trenord (aka come mi immagino che inizi un qualsiasi horror urbano). Andrea si siede sempre a debita distanza, per evitare fraintendimenti, ma essere comunque reperibile in caso di bisogno. Il secondo motivo, più pragmatico ma che si collega al primo, è che spesso anche Andrea è solo e quindi preferisce avere qualcun altro nel vagone per eventuale necessità. Il dilemma di Andrea è di non riuscire a capire se con questa sua azione peggiora o migliora le cose.
Gli ho fatto notare che, anche se la sua azione è neutrale, purtroppo la sua presenza nel vagone aumenta statisticamente del 100% la probabilità di essere molestate (o almeno questo è il pensiero che scatta nella nostra testa).
Funziona così: se sono da sola in un vagone, il pericolo non esiste.
La probabilità di essere molestata o sentirmi minacciata è pari a zero.
Se sale uno sconosciuto di sesso maschile, immediatamente il livello di allarme sale e con lui la probabilità statistica menzionata.
Questa sensazione di pericolo dura in media 4 minuti, cioè il tempo necessario per valutare se Andrea (o chi per lui) può essere un alleato oppure il nemico.
E vi posso assicurare che sono 4 lunghissimi minuti.
Nonostante questa faccenda delle molestie faccia parte della mia quotidianità, con rammarico non sono ancora arrivata a capire quale possa essere la soluzione per creare uno spazio sereno e vivibile in cui una ragazza\donna non si senta minacciata\violata e in cui un ragazzo\uomo non si senta additato e colpevolizzato nelle intenzioni.
Ma so per certo che le molestie sono reali e succedono ad almeno metà della popolazione, ed è dovere e compito dell’altra metà aiutarci a debellare questa piaga. E quindi mi rivolgo a voi milanesi: cosa ne dite di rendere Milano la prima città molestie free del mondo?
Il primo passo potrebbe essere partecipare alla conversazione: portare punti di vista diversi ed esperienze personali, così da riuscire a far comprendere la questione molestie a chi – per sua fortuna – non la vive in prima persona.
Imbruttite, è il momento di farsi sentire, condividete la vostra esperienza, raccontate come vi sentite, spiegate cosa non vi fa stare serene nel momento in cui salite su un tram, in metro o in bus.
E voi Imbruttiti, ascoltate le nostre storie e trasformatevi in quell’alleato che sogniamo.
Bastano 4 minuti.
#MezziXtutti
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