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News Food&drink
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Caro Pietro,

ti ho sempre dato del tu anche se eri un signore molto più anziano di me. Per te ero solo uno dei tanti clienti che passavano a chiedere una birretta fresca al giusto prezzo. Anche quando il peso degli anni iniziava a farsi sentire ed eri sempre più ricurvo sul bancone, me la stappavi con il sorriso.

Che ti chiamassero Pietro, Piero o Piter portavi dentro di te la consapevolezza di chi nella vita ne ha viste di cotte e, soprattutto, di crude. Io, che sono piemontese di origine come te, ho però conosciuto il bar Rattazzo in un periodo di boom per la città e di situazione sociale relativamente tranquilla.

Non sempre è stato così e tu, oste in Ticinese dal 1961, l’hai sempre raccontato a tutti quelli che te lo sono venuti a chiedere. Anche a quei curiosi inglesi della BBC, che qualche anno fa ti hanno eletto Santo Patrono della Gioventù Bruciata. Ricordi?

In realtà, come ci hai confessato tramite social appena prima di lasciarci, portavi dentro di te l’orgoglio di aver aiutato tanti di noi che poi sono diventati avvocati, giornalisti, magistrati e persino professori.

Non è per celebrarti ora che non ci sei più, ma avevi proprio ragione. Per me le serate in via Vetere sono state la medicina per guarire dall’insicurezza, dalle giornate stressanti al lavoro e dai mille dubbi che Milano ti sbatte in faccia ogni giorno per metterti alla prova.

Ho portato da te tanti amici, Giargiana e non, facendogli provare il tuo mitico Special Rattazzo. Benzina, come la chiamavi tu, facendoci ridere tutti.

Ricordo la mitica radiolina che portavi all’orecchio per ascoltare le partite. Non perdevi occasione per sfottere gli interisti o chiunque non la pensasse come te dal punto di vista calcistico.

Pensa, a un certo punto stavo per affittare una casa vicino al tuo bar. Già mi gustavo serate estive zero sbatti, cullato dal vocio delle centinaia di persone che attingevano dai grossi frigo del locale. Alla fine ho desistito. Non mi andava che la mia macchina fosse usata come tavolino dagli avventori in strada e, soprattutto, avevo capito che crescendo pian piano avrei dovuto allontanarmi da quella medicina per non subirne gli effetti collaterali.

Tu lo sapevi, hai visto passare generazioni e quasi per tutti si è ripetuto lo stesso copione. So che avresti voluto continuare all’infinito. Prima i figli e poi i nipoti dei tuoi primi clienti. Lo capivo quando, sempre più raramente, mi capitava di passare. Ora – come volevi tu – qualcuno proseguirà la tua opera e il bar rimarrà aperto.

Hai anche scherzato con la morte e qualche giornalista ci ha creduto. Poi, alla fine, ci hai salutato per davvero. Poco prima di Natale. Una festa che non hai mai gradito.

Ci hai detto di vivere la vita sempre, specialmente quando è in salita. Ora è uno di quei momenti duri perché abbiamo perso te, una delle colonne di Milano. Perché #MilanoilDuomoilPanettoneepoiRattazzo non è un hashtag come tanti, ma per molti è una filosofia.

Forse tu non ci crederai più di tanto, ma io sogno un giorno, tra non so quanti anni, di rivederti altrove per chiederti nuovamente una birra. Per ora mi piace ricordarti con le parole con cui è stato proposto e poi ti è stato assegnato l’Ambrogino d’Oro nel lontano 2005.

Perché per restare nella storia non servono grandi imprese, basta il bancone di un bar!

Per la dedizione, la passione, l’umanità con cui svolge da 43 anni la professione di ristoratore nello storico quartiere del Ticinese. Per avere trasformato la sua trattoria in un luogo di scambio culturale, sociale e politico dove il profitto è messo in secondo piano privilegiando la comunicazione e l’amicizia. Per essere anche oggi un punto di riferimento tra diverse generazioni, bisogni e desideri e sapere eliminare frizioni ed attriti. Per aver inventato un momento particolare della giornata dove riuscire a riunire ancora oggi tantissime persone in convivio e relax e averlo trasformato in un “rito” che si consuma quotidianamente in ogni bar della città: l’happy hour. Per aver sempre aiutato le persone meno abbienti offrendo pasti caldi

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