Il terrore corre sul web. E a scatenarlo è un post pubblicato, sulla sua pagina Facebook, da Pierfrancesco Maran, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano.
Scrive il Piefra: “ci possiamo ancora permettere Airbnb?”. Basta questo interrogativo perché, come un fiume, scorrano i commenti – più 200 nel giro di pochi minuti – di chi, chiamato in causa, trema davanti a una simile frase che potrebbe far presagire catastrofi per coloro che, con la formula degli affitti brevi, in città, ci campano. Ma va detto, anche il Comune con la tassa di soggiorno si prende una bella fetta di questo ricavo (si parla di circa 1 mln di euro a bimestre), cifra considerata sproporzionata dai cosiddetti host delle varie piattaforme di alloggi presenti sul territorio milanese, di cui Airbnb è il più noto ma non il solo.
Su questo e altri aspetti della questione – tutt’altro che semplice – è nato il dibattito social e pare che l’intento di colui che l’ha generato sia proprio quello di smuovere gli animi: risponde, infatti, lo stesso Maran che il suo post ha carattere provocatorio e, da ciò che si può leggere sotto di esso, opinioni, chiarimenti e discussioni sono interessanti e accesi.
I due temi contrapposti ma egualmente rilevanti sotto la lente d’ingrandimento vedono, da un lato, il numero sempre maggiore degli appartamenti messi sulle piattaforme per gli affitti brevi – 15 mila alloggi su un totale di 600 mila – accompagnato, parallelamente, dalla diminuzione di quelli dedicati agli affitti a lungo termine, caratterizzati da prezzi stellari, specie se paragonati ai guadagni ottenuti con gli affitti brevi. Dall’altra parte, le ragioni dei proprietari di casa che, a fronte del rischio di un inquilino insolvente e di mancanza di tutela sull’immobile, scelgono l’affitto breve che garantisce il pagamento in anticipo e, soprattutto, l’assenza di un vincolo contrattuale. “Si scontrano il diritto alla proprietà, e quindi il massimo vantaggio per il proprietario che ha investito, e quello alla casa a prezzi ragionevoli” — scrive Maran — “dovremo studiare delle formule per riportare queste case verso i lavoratori anziché la rendita immobiliare”.
Insomma, l’obiettivo dell’amministrazione è quello di trovare il giusto espediente che, senza danneggiare i proprietari di Airbnb (e f.lli), rimetta in circolazione le case disponibili (in una città, come Milano, che è cresciuta di 15 mila abitanti all’anno negli ultimi dieci) per rispondere alla richiesta di alloggi in affitto, sia per i nuovi residenti sia per lavoratori e studenti fuori sede. E in questo modo Maran ha cercato di tranquillizzare i followers che hanno preso parte alla discussione da lui aperta, la sua intenzione infatti non è quella di demonizzare o addirittura abolire Airbnb quanto piuttosto di invogliare i proprietari di casa ad un ritorno verso gli affitti a lungo termine.
Le sue proposte, tra cui appunto “ricostruire un legame di fiducia coi proprietari di case che consenta di affittare con tranquillità sia col vecchio 4+4 sia magari con formule più moderne tipo 3+2 o anche semestrali e annuali”, sono state al centro del convegno di martedì 18 febbraio “Il caso casa. Come cambierà per i giovani abitare a Milano tra studentati, edilizia negli scali ferroviari e caro-affitti“, ospitato dall’ Ostello Bello Grande, proprio una struttura ricettiva concorrente di Airbnb.
[Mentre aspettiamo di conoscerne l’esito, ci chiediamo: cosa ne pensate? Voi che parte siete? Quella degli ospiti o degli ospitati?]
Articolo scritto da Maria Teresa Falqui
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