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Generazione trentenni: come la pandemia ci ha colpito senza distruggerci, nonostante tutto

Per un trentenne di oggi, la vita è stata un susseguirsi di crisi economiche più o meno epocali. Poi è arrivata la pandemia, e si è cominciato a fare sul serio

Ci è toccata una generazione di merda, va detto.

La storia si è giocata mentre noi guardavamo Bim Bum Bam: Tangentopoli, Mani Pulite, la fine della Prima Repubblica, il muro di Berlino, la Lega Nord che trattava di merda i meridionali, e noi AlvinrocknrollAlvinsuperstar. Il disastro di Cernobyl è capitato mentre noi imparavamo a fare la cacca nel vasino, la Guerra del Golfo e la Mafia, che faceva saltare in aria cose e persone, ci ha visti impegnati a dire la poesia di Natale a memoria in piedi sulla sedia per la strenna dei nonni; nasceva l’Unione Europea e crollavano le torri gemelle mentre noi lottavamo con i nostri genitori per tornare più tardi la sera. Non abbiamo combattuto per i nostri diritti né per quelli degli altri, non siamo stati abituati a un interesse comune da proteggere, ma a uno proprio in cui sguazzare, protetti dalla Democrazia e dalla mamma. I genitori che ci hanno spronato a diventare una generazione di pluri laureati senza prevedere che alla fine di questa strada, ancora con il flute in mano fuori dall’ateneo, ci avrebbe accolti una crisi economica senza precedenti. E da lì una serie di parole simpatiche come la resina sui jeans: stage, tirocinio, assunzioni con firma di dimissioni, ricatto tra maternità e lavoro, milleeuroalmese e partita iva. Insomma, le cavie della precarietà

State annuendo, lo so; e vi state intristendo, vero? Aspettate che ora vi faccio anche incazzare: oltre a questo danno, a un certo punto, ci è arrivata addosso anche la beffa della generazione bamboccioni! Quindi niente, nasci sfigato e la colpa è pure tua. Tiè.
Ma evidentemente non era abbastanza per la medaglia al valore, ed ecco il 2020 e la mazzata economica più epocale, che è un po’ come essere finiti in prigione giocando a Monopoly, e in attesa di uscire, non c’è uno stop al tempo: quello fa tic tac e la vita va giocata lo stesso da lì, come si può, mentre fuori tramonta il sole e dentro sorgono interrogativi. In questa condizione tutti si sono sentiti vittime di sfiga o ingiustizia: i più anziani, anzi no i bambini, anzi no i genitori, i commercianti, il settore del turismo, i lavoratori autonomi, le coppie, i single, anzi no i millenial, che se lo sono preso in quel posto ancora e ancora, e invece di costruire il futuro, ora si possono gasare per aver provato a fare i ravioli cinesi a casa. 

Hanno tutti ragione. Ma con questa ragione, ora, che stiamo facendo? A me pare che ci siamo messi a giocare a scacchi, e la queen degli scacchi ci sta pure gufando. Io so giocare solo a dama, ma la regola mangia o sarai mangiato mi sa che vale comunque, quindi quella o ci divora o ce la dobbiamo mangiare noi a colazione, per intenderci. 

Meh, allora studiamo le opzioni:

Ci lamentiamo. Vai, libero sfogo a tutto il repertorio, pure la retorica, che tutto fa brodo; dai ok, pure i luoghi comuni e le frasi fatte, già che ci siamo; una zuppa di rancore con un generoso filo d’odio a crudo e vedi che ti mangi! Obiettivo: fare fuori il nemico, convinti che odiare qualcuno preveda bere veleno pensando che sia l’altro a morire. Daje!

Ammutinamento. Go rebels Go, braccia conserte, diamo le spalle a tutto, pure alla vita, va. Massì, manifestiamo disubbidienza, in fondo possiamo fare esattamente come al liceo, quando abbiamo fatto le occupazioni studentesche che duravano mezza giornata e poi tutti a mangiare pasta al sugo, se no papà ci sfracanava di mazzate. Dai, sì, ci sta.

Ci arrendiamo. No oh dai, ma che è veramente?! No, questa no. In fondo saremo pure la generazione degli Andreotti con la paresi facciale, stanchi di rispondere ai compromessi, ma siamo anche  quella dei nati sotto il segno dell’analogico che oggi fanno i social media manager, kings del digitale che abbiamo saputo imparare da soli in itinere. Respect.

Sbarelliamo. Questa non male, in effetti, già la parola fa simpatia, vero? Però vediamo un po’, sì, potremmo dare di matto per tantissime buone ragioni, e potremmo anche spiccare per creatività, tipo qui sono forti il Papa, che ha detto di aver chiesto a Dio di bloccare la pandemia, e Lady Gaga che pare conosca Dio in persona; ah, pure Paolo Brosio che ha urlato “Cristo non può contagiare” leccando un’acquasantiera; potremmo farlo capitano della crociata, pensandoci. Dai, questa soluzione la teniamo presente, in cima alla lista.

Giochiamo. È banale giocare e basta? Boh, può essere, ma se fossimo bravi? Lo so che suona un po’ come essere chiamati alla lavagna a fare trigonometria quando per le somme a due cifre a mente ci viene una sincope, però l’abbiamo fatto tutti, no? E quanto meno siamo vivi. E forse a molti è andata anche meglio del previsto, perché hanno studiato, perché hanno un talento, perché gli altri possono essere validi alleati per sostenere il patibolo, o per una gagliarda botta di culo. Chissenefrega, ma ci siamo alzati, e già questo ai tempi miei significava evitarsi il 2; poi da lì valgono le risorse, pure quelle sconosciute, che invece abbiamo eccome! Io quello che so è che tempi difficili creano persone forti e le persone forti creano tempi facili, e che tutti i giorni mi sento come se non avessi i giusti requisiti per vivere su questo mondo ma poi mi ricordo che l’ho pensato anche ieri e sono comunque arrivata a oggi. Quindi sì, li ho. Anche se la voglia di buttareamare tutto è tanta, tipo pedine all’aria. Mi sa che una cosa ci dobbiamo ricordare di salvare, ed è la prospettiva. Senza quella è vero che siamo fottuti. 
Impuntarsi nel tentativo inutile di tenere tutto sotto controllo è ridicolo, perché tanto la vita poi fa comunque quel cazzo che le pare, quindi potremmo giocare ricordandoci che si può fallire sì, ma di solito questo accade a chi vive, e che il rancore e la rabbia per la perdita avvelenano il fegato più dei gin tonic.

Raga, secondo me giocare la partita è da eroi; giocare fa gruppo, e se c’è una cosa che i Flintstones avevano capito dai tempi della clava, è che si campa più a lungo se ci si unisce. Perciò, plancia di gioco sul tavolo, pedine sistemate, squadra compatta. Post-it sul frigo che tra il lievito di birra e l’insofferenza ci ricordi che siamo quelli capaci di annegare nello Spritz ma mai nella rassegnazione.

A te la mossa, capo.

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