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Editorial
smartworkingcampagna

Andare a quel paese con lo stipendio milanese.

Con lo smart working pandemico ne abbiamo viste e ne stiamo ancora sentendo di cotte e di crude. C'è chi vorrebbe lavorare da remoto per sempre e chi invece spinge per un rientro full in ufficio senza se e senza ma (generalmente fanno parte di questa fazione i boss parrucconi con il SUV 3200 turbo diesel aziendale che sgasa sulla circonvalla ogni santo giorno).

Sgombriamo però subito il campo da giargianate e misunderstanding

Anche se la malinconia di fine estate ci sta assalendo, quasi nessuno darà seguito al sogno di lavorare in pianta stabile da posti di mare, montagna o lago. Troppo sbatti, troppi costi, troppo tutto. Daremo la colpa al fatto che in inverno è il deserto dei tartari, al Wi-Fi o alla connessione che non prende, e sarà finita lì.

Sino alle prossime ferie dove potremo ricominciare a spararle grosse dal tavolino con vista di un lounge bar di Santa, straparlando del mobile office da sogno che vorremmo allestire su uno yacht ormeggiato tra Portofino e la baia di Paraggi.

C'è però qualcosa di più concreto che serpeggia sempre più insistente tra noi pigiatasti, sbarcati a Milano dalla Giargiania in cerca di fortuna: lavorare in smart dal proprio paese di origine. Il mio si chiama Zumaglia, ma potrebbe chiamarsi Frittole o Borgo Tre Case (remember Renato Pozzetto ne il Ragazzo di Campagna).

Insomma, tutti a fatturare a tempo indeterminato da dove ogni singola storia è partita. #BacktoInculonia (o Inculandia secondo preferenze) potrebbe essere l'hashtag adatto.

Se attiviamo un secondo la melonera, i neuroni in movimento lento ci dicono che sembrerebbe un gran bel deal. Costo della vita decisamente più basso, si conoscono già l'ambiente e le persone (ci siamo nati e cresciuti), forse già è disponibile una ampia casetta da ristrutturare, aria molto più respirabile, zero sbatti per posteggi e caos su tram e metro. Cazzocimanca

Niente, ma forse tutto. Dopo lunga e attenta riflessione sono giunto alla conclusione che Milano ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via per un weekendino. Milano vuol dire non essere soli, sapere che nel delirio, nei parcheggi impossibili, nelle polveri sottili e negli scioperi dei mezzi c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.

Queste citazioni poetiche rivisitate non sono buttate lì per darla vinta facile ai suddetti manager di qualcosa, fanatici dell'office in presenza e del badge strisciato (solo dai sottoposti, si intende). 

Se preferite un dipendente che arriva in office in giacca e cravatta pezzato dopo un'ora di spostapoveri, ma che vi gioca a campo minato sotto il naso tutto il giorno piuttosto che un collaboratore in bermuda dal divano che vi fa fatturare il triplo, allora le rette dei master bocconiani che sventolate sul CV non sono servite a un kaiser, e non avete diritto né al bonus né al monopattino aziendale. Dirigetevi piuttosto verso il più vicino ufficio di collocamento. Pedalare...

Tornando a noi comuni mortali, se siamo venuti sino a qui a Milano è perché ci ha mosso qualcosa. Può essere stato il desiderio di non avere relazioni sociali imposte dalla geografia (o dall'invadenza dei vicini di casa), il sogno di aprirsi nuove strade, di fare carriera o semplicemente di maturare la propria personalità in contesti più aperti.

Quando siamo arrivati, (quasi) tutti abbiamo capito che le aspettative erano al top, ma che era meglio rimanere schisci. Milano ci ha accolto a braccia aperte, ma con freddezza. D'altronde mica può fare festa per ogni pirla che arriva a fatturare dentro la cerchia. Quanti ne ha visti che credevano di avere un talento infinito dopo aver segnato qualche goal in provincia.

Tra una call, un meeting, un aperitivo e un fuori salone ci siamo ritagliati il nostro posticino nella metropoli, la nostra personale esperienza, aumentato i contatti e, per quanto da buoni Giargiana vogliamo negare l'evidenza, costruito delle nuove radici.

Recidere quel cordone ombelicale che ci lega a Milano significherebbe cambiare vita, un'altra volta

Le idee, gli scambi culturali, i nuovi progetti nascono necessariamente nel meltin pot della Circonvalla e si irradiano attraverso le tangenziali in direzione Inculhinterland, per arrivare sino alla periferia dell'Impero.

Così è stato e così sarà. Altrimenti ci si abitua a vivere in un eterno status quo che ci condannerà al perenne business as usual, senza progredire mai.

Insomma, magari domani resto. Come sempre la virtù sta nel mezzo, anche nel caso dello smart working. Se dopo quasi due anni non lo abbiamo ancora compreso, facendo finta di non capire arroccandoci su posizioni ideologiche, allora anche noi siamo solo e soltanto dei Giargiana parrucconi.

 

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