Una roba grossa come la pandemia porta inevitabili conseguenze, al di là di quelle ovvie. Stiamo ragionando di più sul senso della vita, su ciò che desideriamo davvero, sulle cose importanti. Sul tempo che, in passato, abbiamo buttato. Forse, stiamo cominciando a volerci più bene. Non sono mica cazzate eh, lo dicono i numeri. Tipo quelli delle dimissioni, un botto, fra i più giovani. Tanti, tandissimi licenziamenti volontari fra ragazzi che non hanno più voglia di sacrificare gli anni migliori della loro vita dietro un lavoro che non li soddisfa.
Un’indagine Aidp (Associazione per la Direzione del Personale) realizzato su un campione di circa 600 aziende, elaborate dal Centro Ricerche Aidp guidato dal professor Umberto Frigelli, ha messo nero su bianco il fenomeno. I giovani stanno abbandonando lavori sicuri in cerca di opportunità maggiormente soddisfacenti da un punto di vista umano, e in grado di garantire più equilibrio tra vita privata e lavoro. I settori più interessati da questo boom di dimissioni sono Informatico e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing e Commerciale (27%). Le fasce d’età maggiormente coinvolte riguardano i 26-35enni che rappresentano il 70% del campione, seguita dalla fascia 36-45 anni. Quindi giovani, sì, ma nemmeno poi così tanto eh.
Insomma, se i nostri nonni, i nostri genitori, probabilmente non si sono mai chiesti davvero cosa desiderassero per la loro vita, dediti al sacrificio e alla pagnotta sicura per mandare avanti la baracca, nel 2022 (e dopo due anni di merda, diciamolo) tutto è rivoluzionato. I giovani sono ben lontani dal mettere su famiglia (per scelta o per impossibilità) e sentono di avere ancora il tempo per provare a inseguire e conquistare i loro sogni. Un po' american style, 'sta cosa. Ma ci sta. Due anni chiusi in casa, lontani dagli affetti e dalle nuove conoscenze, la vita sociale azzerata... figa, normale che adesso i ragazzi abbiano voglia di spaccare il mondo, come si dice.
I motivi di questi licenziamenti di massa sono intuibili: la ripresa del mercato del lavoro (48%), la ricerca di condizioni economiche più favorevoli in un'altra azienda (47%) e l’aspirazione a un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa (41%). Seguite, subito dopo, dalla ricerca di maggiori opportunità di carriera (38%). Interessante la risposta del 25%, che ha indicato come stimolo all'abbandono la ricerca di un nuovo senso di vita, mentre il 20% ha mollato per colpa di un clima di lavoro negativo interno all’azienda. Ma, a proposito...e le aziende?
L’88% non ha in atto un piano di incentivo all’esodo mentre il restante 12% ha piani di incentivazione all’uscita anche con prepensionamenti. Le aziende stanno improvvisando per affrontare questa fuga improvvisa, ad esempio sostituendo i fuoriusciti con altri dipendenti con contratti a tempo indeterminato e determinato (55%) mentre per altri si tratta di un’occasione di riorganizzazione dei processi produttivi (25%). "Siamo stati colti di sorpresa nella maggior parte dei casi anche se dei segnali erano già ravvisabili – ha detto Matilde Marandola, Presidente Nazionale Aidp, come riportato dal Corriere -. Il rispetto dei valori individuali, la qualità delle relazioni, il benessere sul posto di lavoro e una serie di aspetti legati alle proprie motivazioni e aspirazioni sono diventati indispensabili. Il fattore scatenante, a mio avviso, è che le persone si sono interrogate rispetto al senso del proprio lavoro e in qualche caso della propria vita e, nella maggior parte dei casi, le risposte hanno spinto al cambiamento". Che storia.
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