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Per le aziende sapere l’inglese è fondamentale, peccato che in Italia solo un neodiplomato su cinque lo parli

Il 96% delle aziende italiane considera la conoscenza dell’inglese un requisito fondamentale per il proprio business, ma i nostri ragazzi non sono molto preparati. In crescita, però, l'insegnamento bilingue già dall'infanzia

Io no spik inglish, è proprio il caso di dirlo. Non sappiamo come siete messi voi con l’inglese, ma se sperate in un upgrade della vostra carriera tocca mettersi sotto con grammar, dictionary e compagnia bella. I dati in tal senso sono impietosi: una recente indagine dell’ente Cambridge Assessment English ha rilevato che il 96% delle aziende italiane considera la conoscenza dell’inglese una skill fondamentale per il proprio business. Ocio a questa info: il 64% ritiene che un dipendente con un ottimo livello di inglese possa far avanzare più velocemente la propria carriera. Bene, benissimo. O forse (per noi italiani) no?

Ancora una volta, parlano i numbers. Secondo una classifica riportata da Osservatorio Cultura Lavoro, l‘Italia è solo al 30esimo posto su 34 paesi nell’apprendimento della lingua inglese. So sad. C’è ancora molta strada da fare quindi, soprattutto se consideriamo che solo il 19,7% dei neodiplomati italiani lo sa parlare, come riportato recentemente da TrueNumbers. Dai, scarsissimi. Sarà per questo che la mentalità negli ultimi anni è decisamente cambiata: stanno aumentando, infatti, i genitori che scelgono un’educazione bilingue per i propri figli. Forse per evitare che si ritrovino penalizzati sul lavoro come lo sono stati loro. Basti pensare che, stando ai dati Eurostat, se nel 1980 la percentuale mondiale di popolazione bilingue era pari al 9,6%, nel 2021 è più che quadruplicata toccando quota 43%. Ciò significa che i neodiplomati del futuro con l’inglese saranno messi meglio di quelli del 2022. That’s it.

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La scuola bilingue si sta rivelando una proposta che richiama su di sé un interesse sempre più elevato. A maggior ragione per quei genitori che, pur riconoscendo l’indiscutibile valore aggiunto della padronanza di una seconda lingua, non intendano rinunciare per i loro figli al mantenimento e al consolidamento delle radici linguistiche e culturali italiane”, ha spiegato Eva Balducchi, General Manager di Baby College Junior College e Middle College. Stanto a quanto detto dalla Balducchi, il bilinguismo implica flessibilità mentale, velocità di ragionamento e apertura verso l’ignoto, la diversità, propensione all’esplorazione e alla conoscenza. Tutto qui? Naaa. Studi hanno dimostrato che il bilinguismo stimola e migliora l’attività cerebrale, affina le capacità di adattamento e problem solving, facilita l’apprendimento di altre lingue straniere, favorisce le abilità mnemoniche e sinaptiche, stimola l’intelligenza empatica e creativa.

“Rappresenta la strada del domani: un futuro di competenza e condivisione all’insegna della valorizzazione dei patrimoni linguistici e culturali”. E poi, diciamocelo: meglio imparare da bambini che farsi lo sbatti di studiare da ragazzi o, peggio, da adulti. Non è un caso che, secondo le previsioni del British Council, nel 2025 il volume di comunicazioni in inglese crescerà, ma diminuiranno le persone che la studieranno (oltre 3 milioni in meno rispetto al 2015). Questo trend è già visibile in Italia: gli adulti che studiano inglese saranno, nel 2025, 2,6 milioni in meno rispetto a quelle che lo studiavano nel 2015. E questo non perché perderanno interesse, ma perché lo avranno già studiato da bambini. Easy!

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