Non fai in tempo ad adeguarti a un trend, che tempo zero ne spunta un altro. Siamo passati dalle Grandi Dimissioni al Quiet Quitting, cioè lo scazzo generale di dipendenti non più disposti ad accettare una vita totalmente lavorocentrica, preferendo invece dedicarsi alla propria vita privata e al benessere mentale e fisico. Della serie: stica dell'office. Una delle tante conseguenze della pandemia, già lo sappiamo. Adesso, invece, si parla di Quiet thriving: il desiderio, cioè, di tornare ad appassionarsi al proprio job, senza però esaurirsi o stressarsi più del necessario. E così dal licenziamento silenzioso di chi lavorava senza voler davvero lavorare, siamo passati a un più positivo prosperare silenziosamente.
Il concetto di Quiet thriving è stato coniato dalla psicoterapeuta Lelsey Alderman in un articolo per il Washington Post: significa sostanzialmente apportare modifiche alla propria giornata lavorativa in modo da fare un change dello stato mentale e sentirsi più coinvolti dal work. Del resto, come ha spiegato a Glamour UK la neuroscienziata Laura Ellera, non è nella nostra natura fare il minimo indispensabile al lavoro. "Siamo onesti, non è sempre facile alzarsi e mollare il lavoro quando questo ci causa angoscia. Quindi, anche se possiamo scegliere di accontentarci praticando l'abbandono silenzioso, questa soluzione a lungo termine non porterà benefici alla salute mentale".
"Siamo costruiti per prosperare come esseri umani: siamo naturalmente curiosi e anche se diciamo che siamo felici solo facendo il minimo indispensabile fino a quando non arriva qualcosa di meglio, nel profondo soffriamo la mancanza di scopo. Percepiamo il ticchettio dell'orologio mentre guardiamo le nostre carriere allontanarsi da noi. Siamo assillati dalla sensazione che ci debba essere qualcosa di più nella vita di questo", ha spiegato bene la doc. Ci sta. Quindi il Quiet quitting non è durato molto, ci abbiamo provato. Ma stare lì a timbrare il cartellino senza fare più dello stretto necessario, guardando l'orologio in attesa che lo strazio finisca, non è una grande soluzione di vita. Piuttosto, meglio trovare un modo (se c'è) di godere di ciò che abbiamo.
Secondo Laura, il Quiet thriving ci consente di riprendere il controllo del nostro benessere sul lavoro e coinvolge due elementi: "Il cambiamento mentale che dobbiamo affrontare per vedere la nostra carriera da un'angolazione diversa e più positiva, e le azioni che intraprendiamo per modellare la realtà in modo che ci renda entusiasti di tornare a lavorare". Tutto molto bello è, ma quanto è fattibile? Cioè - onestamente - se il nostro lavoro ci fa cagare, come lo facciamo lo switch? "Un ottimo punto di partenza è pensare a quali parti del tuo lavoro ti frustrano e quali invece ti illuminano - ha spiegato la doc - Chiarisci davvero i diversi aspetti del tuo ruolo e cosa significano per te. Quindi prendi le parti che ti frustrano e chiediti: 'su quali parti ho il controllo? Su quali parti ho una certa influenza? E quali parti sono completamente fuori dal mio controllo?'".
E insomma, dobbiamo prendere le cose che ci frustrano ma su cui abbiamo il controllo e provare a cambiarle. Per il resto, dobbiamo accettare consapevolmente di lasciar andare le cose su cui non abbiamo alcuna influenza. Altre dritte della Ellera: cercare di reagire più serenamente alle cose che non ci piacciono; circondarci di persone che ci fanno stare bene; prendersi una pausa per resettare, e ricominciare alla grandissima. Vabbè raga, bastava dire: farsela prendere bene e avremmo capito lo stesso.
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