Dalla pandemia in poi lo smart working è diventato uno dei nostri argomenti prefe. La necessità di lavorare da casa aveva aperto le porte ad un mondo nuovo, fatto di maggior comodità e flessibilità, al netto chiaramente anche di alcuni contro (tipo la mancanza di socialità). Sembrava, tuttavia, che lo smart working fosse arrivato per restare. Che molte aziende stessero capendo quanto il lavoro agile fomentasse la produttività di dipendenti più contenti, e aiutasse l'azienda stessa a risparmiare del cash. E invece...
...e invece no. Lo smart working è stato una parentesi rosa tra una zona rossa e un tampone. E questo nonostante il lavoro agile sia stato prorogato fino a fine anno per i fragili e per i genitori che hanno figli minori di 14 anni, ma solo se lavorano nel privato. A stabilirlo, un emendamento al dl lavoro, approvato dalla commissione Affari sociali del Senato, presieduta dal senatore di Fdi, Francesco Zaffini. E così le aziende, che inizialmente pensavamo avrebbero adottato un nuovo mood lavorativo, sono tornate punto e a capo. Tutti in office. A dircelo, l'osservatorio smart working del Politecnico di Milano, secondo il quale ad oggi sono circa 3,6 milioni le persone che lavorano da casa, quasi 500mila in meno rispetto al 2021 e dunque solo il 14,9% del totale dei lavoratori, come confermato anche dall'Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche. Attualmente quindi nella City gli uffici sono pieni all’80% circa, quasi quasi come nel pre Covid.
"Già l’anno scorso siamo scesi a un livello molto lontano dai picchi della primavera del 2020, quando con il lookdown duro si era arrivati a 6,5 milioni di lavoratori operativi da remoto" ha dichiarato Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico. Le uniche aziende a non mollare del tutto lo smart working sono le big. "A fronte di una leggera ma costante crescita del lavoro a distanza nelle grandi aziende, anche se è calata l’intensità (al massimo due o tre giorni a settimana) perché lo smart working estremo è quasi sparito, si è registrata invece una marcia indietro per quanto riguarda in particolare le piccole e medie imprese e le pubbliche amministrazioni". Ma perché questo calo così drastico? Secondo la Crespi, la causa è da ricercare soprattutto nella cultura organizzativa focalizzata sul controllo della presenza, mentre bisognerebbe imparare a valutare di più il lavoro sugli obiettivi, "che non devono essere per forza annuali ma anche mensili o settimanali". Insomma, alla fine vige ancora la vecchia fissa che se lavori da casa non fai un cazzo.
Per carità, qualche azienda che si mantiene open mind c'è. Tipo Intesa Sanpaolo (ma non solo) che da inizio anno ha adottato un nuovo modello organizzativo del lavoro che unisce lavoro agile, flessibilità e settimana corta. "L’elemento fondamentale per il successo di questo modello è la diffusione di una cultura orientata agli obiettivi e al senso di responsabilità, e su questo stiamo molto investendo – ha spiegato Paola Angeletti, Chief Operating Officer Intesa Sanpaolo, come riportato da Avvenire –. Siamo convinti che promuovere il benessere delle persone e valorizzare i talenti di tutti sia indispensabile per costruire la banca del futuro, in grado di affrontare le prossime sfide in mercati in continua trasformazione, grazie a un modello sempre più agile e dinamico". Oh, comunque consoliamoci. Non è che 'sta cosa dello smart working riguarda solo noi italiani, pure negli States - che talvolta sulle questioni lavorative sono più avanti - si sta tornando piano piano in ufficio. Secondo un rapporto del Dipartimento del Lavoro, infatti, il 72,5% delle imprese ha dichiarato che i propri dipendenti l'anno scorso hanno lavorato pochissimo da casa, talvolta per niente. Una cifra salita rispetto al 60,1% del 2021. Quindi raga, altro che smart working modello di vita del futuro...
... è stato bello finché è durato.
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