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Editorial
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Tutti l'abbiamo detto o pensato, almeno una volta nella vita. Mollo tutto e... dai, noi ci abbiamo fatto anche un film! Poi può essere il chiringuito o il centro benessere, può essere "divento nomade digitale" o "giro il mondo in camper", ma il senso è quello. Lascio una vita più o meno stabile ma insoddisfacente per un sogno ignoto ma entusiasmante. E poi, cosa succede? Happy ending e via? Mica detto. Per esempio, il comasco Antonio Iannone questo salto nel vuoto l'ha fatto, portandosi dietro moglie e figlia. Destinazione Aruba, una piccola isola caraibica al largo delle coste del Venezuela, un paradiso. Giusto per capirci: 

aruba.jpg

Non malissimo eh. Antonio però non aveva una brutta vita, anzi. Viveva ad Albiolo, Como,  lavorava come manager in una ditta farmaceutica in Svizzera e guadagnava molto bene. "Sicuramente appagante dal punto di vista economico e sociale, stabile ma terribilmente monotona e abitudinaria" ci ha raccontato Iannone. "Sveglia - corsa - doccia - 90 minuti di auto - lavoro - pausa pranzo - lavoro - 90 minuti di macchina - cena - film - letto. Si ricomincia". Ok, voi direte, non certamente una vita infernale. Però oh, siamo tutti diversi e c'è chi la vita abitudinaria - per quanto stabile e sicura - proprio non la regge. Ci sta. "C'è da considerare inoltre che ero salito su quello che viene definito Tapis Roulant Edonico, ergo lavorare per avere una casa sempre più grande, una macchina sempre più potente, un orologio sempre più costoso, fare viaggi sempre più sfarzosi. In breve, mi stavo lentamente spegnendo".

Parlare di soldi è volgare, ma pace. Quanto guadagnavi? "La cifra esatta, per motivi legali, non posso dirla, ma diciamo che lo stipendio netto era equiparabile a quello di un quadro di alto livello, con un sostanzioso bonus di fine anno e una cassa pensione privata che ho potuto liquidare per abbassare il mutuo della casa". Sembra tutto bellissimo, sulla carta. E invece no. Antonio e sua moglie sentivano fortissimo il bisogno di uscire dalla loro comfort zone e mettersi in gioco. I punti fondamentali per la svolta sono stati due: sia Antonio che la moglie sono appassionati di cucina e ottimi cuochi; ad Aruba viveva e lavorava già il migliore amico di Antonio, che si guadagnava da vivere con un food truck di cibo italiano e che quindi ha reso il trasferimento dei tre molto più easy.

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Nel 2015 Antonio e sua moglie hanno così fatto il grande passo e hanno cominciato rilevando le quote del food truck dall'amico, piazzato in punti strategici dell'isola, dalle 19 alle 5 del mattino. Piatto forte del food truck, oltre ai panini con salsiccia e porchetta, era la lasagna. Cioè, una lasagna ad Aruba sarà andata a-ruba. Eh eh. Vabbè, comunque poi Iannone ha deciso anche di lanciare il servizio di chef privato, quindi il lavoro decisamente non gli mancava.

Se però vi immaginavate una vita idilliaca e giornate infinite trascorse oziando in spiaggia bè... vi sbagliate di grosso. Bella Aruba eh, ma tocca farsi il culo quadrato, per dirla alla francese. "Lavorare ai Caraibi non è fare vacanza ai Caraibi, specie nella ristorazione" ci ha confermato Antonio. "Certo, nelle poche ore libere c'erano le spiagge, e questa è la cosa che ci manca di più. Pentimenti assolutamente no, rifaremmo tutto, anche perché l'esperienza ci ha enormemente forgiato a livello caratteriale. Ora affrontiamo tutto con meno preoccupazione". Cosacosacosa? Ma perché ne parla al passato, direte voi. Eh, perché alla fine - dopo due annetti ai Caraibi - Antonio e la family hanno deciso di tornare a casina, in Italì. "Dietro la facciata turistica, fatta di spiagge e colori, la Aruba di tutti i giorni è ben diversa. Diseguaglianza sociale, povertà, nessuna educazione alimentare. C'è da considerare che, essendo un'isola, tutto è estremamente caro. Giusto per fare un esempio, la fibra, che qui in Italia ti tirano dietro, lì costa dagli 80 euro mensili in su. Il cibo italiano idem, ovviamente, ma per fortuna potevamo permettercelo". Cioè, alla fine... che sbatti.

Bella Aruba eh, ma non ci vivrei.

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"Siamo stati li due anni esatti e la scelta di tornare è maturata circa sei mesi prima della ripartenza, considerando che a livello burocratico e operativo il tutto non è proprio una passeggiata". Alla fine casa è sempre casa, anche se non c'è il mare dei Caraibi. "Eh sì, nonostante lì in un anno avessimo raggiunto già una certa stabilità economica grazie al duro lavoro, mentre in Italia ci abbiamo messo 5 anni a tornare a regime". Adesso la family è tornata a vivere vicino a Como, nella casa acquistata nel 2006 e che hanno affittato mentre si trovavano ad Aruba. Scelta sagace. Del resto raga, uno si immagina la vita ai Caraibi come il massimo dell'aspirazione (generalizzando eh) ma non è proprio così. Ce lo spiega Antonio, parlando di cosa gli mancava dell'Italia. "In primis certamente il senso di libertà. Potrebbe sembrare un controsenso, ma su un isola caraibica di 200 mq, a lungo andare ti senti come in gabbia. Il non poter fare nemmeno due ore di macchina per cambiare aria logora. Su un'isola tutto è più caro e difficile da ottenere. Anche per un banale pezzo di ricambio possono volerci settimane. E poi gli arubiani non sono proprio il popolo più ospitale del mondo. Dimenticate i latini caldi e simpatici, ma pensate ad un popolo isolano colonizzato dagli olandesi; il che la dice lunga... Poi ovviamente ci sono le eccezioni".

L'happy ending c'è: ora Antonio si occupa sopratutto di innovazione in campo agroalimentare e collabora con grandi multinazionali e startup su progetti di open innovation. In più insegna in  una business school e scrive per alcune riviste di settore. "In 5 anni sono diventato un punto di riferimento per l'ecosistema foodtech italiano". Ma quindi non fai più la vita da Tapis Roulant Edonico? "Assolutamente no: dopo cinque anni, sempre col duro lavoro, siamo riusciti a riguadagnare una certa stabilità economica, ma lavorare da freelance ti fa davvero cambiare la percezione verso le cose futili e apprezzare di più cose che prima potevano sembrare banali. Per esempio, i primi anni ho lavorato con un portatile di terza categoria e quando due anni fa, per ragioni lavorative, ho dovuto comprarmi un MacBook ero l'uomo più felice del mondo". Ok, quindi adesso sei felice giusto? "Assolutamente, lavoro da casa facendo ciò che mi piace davvero. Certo, per essere felice e stabile da freelance è necessario davvero reinventarsi quasi giornalmente, ma forse il bello è proprio quello".

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