Natale che arriva, panetùn categorico.
In realtà ci stanno menando il torrone già da Ferragosto con i concorsi per il miglior lievitato. Ormai cani e porci lo producono in giro per la Penisola in versioni più o meno stravaganti. Ci mettono dentro di tutto, dalla 'nduja calabrese al capocollo pugliese, passando per la birra fino alle olive e alle cipolle. Se non mi credete buttate l'occhio qui e rendetevi conto dei livelli di giargianesimo raggiunti pur di incuriosire e vendere. Non chiamateli panettoni, please!
Da buoni Imbruttiti passiamo e vogliamo rendere onore all'unico vero king, il panettone tradizionale. Quello che si mangia durante le feste natalizie, si mette da parte una fetta per San Biagio (3 febbraio) in segno di benedizione per la gola e il naso. Proprio lui, con quella sua tipica e rassicurante forma tondeggiante. Soffice, giallo al suo interno, con tanto burro, l'uvetta e, anche se qualcuno li detesta, i favolosi canditi. Già, ma quando è nato esattamente il "nostro" panetùn? Perchè il dolce tipico meneghino ha registrato un successo stratosferico, dai secoli dei secoli? Per rispondere a queste domande si entra in un ginepraio di teorie, tra storia e leggenda. La cosa figa è che non c'è una versione definitiva. Ognuno può scegliere un po' quella che preferisce e, così, il fascino di una fetta di panettone racconta ancor di più le tante storie legate alla nostra città.
La versione che preferisco è quella piu' mainstream. Siamo nel XV secolo, alla corte di Ludovico il Moro. Il cuoco di servizio fu incaricato di preparare il grande pranzo di Natale per un ricevimento VIP al Castello Sforzesco. Sfiga vuole che il dolce preparato per l'occasione fu dimenticato nel forno e si bruciò. Per non fare figure di emme un inserviente di cucina di nome Toni propose al cuoco di servire ai commensali un "pane" che aveva cucinato con ciò che aveva trovato nella dispensa, tra cui scorza di cedro e uvetta passita. Gli ospiti ne furono entusiasti e il duca in persona si interessò al nome di quel dolce. Il cuoco se lo dovette inventare al momento e la prima cosa che gli venne in mente fu: “L’è ’l pan de Toni”.
Ai tempi non c'era Instagram a riprendere tutto in formato reel, ergo non sapremo mai se questa storiella è un fake.
Un'altra leggenda sempre risalente ai tempi di Ludovico il Moro narra di un tal Messer Ughetto degli Atellani che si innamorò di Algisa, la figlia di un fornaio. Per corteggiarla si fece assumere come garzone e ci prese talmente gusto da creare un dolce, il "pane nuovo", che poi sarebbe diventato il "panettone". Un' altra versione ancora è quella di suor Ughetta che in un piccolo e povero convento si mise a impastare un dolce per rallegrare le consorelle a Natale. Vi incise sopra una croce. La voce si sparse per tutta Milano e in molti accorsero numerosi per assaggiarne una fetta, con offerta annessa. Panettone e fatturato.
Ok, ok, belle storielle, ma come è nato veramente il panettone, figa? Ci sarà una versione ufficiale depositata in qualche archivio polveroso in Festa del perdono? Alcuni documenti della fine del Quattrocento parlano del rito del ciocco o del ceppo. A ogni Natale le Corporazioni di Milano distribuivano un pane di frumento con l'aggiunta di burro e zucchero e uova a tutta la popolazione, cosa vietata ai ceti più poveri nel corso del resto dell'anno. Per quello veniva chiamato il "Pan de Sciori" poi diventato "Pan de Ton", ossia roba di lusso, da signori. La ricetta del Panettone era già diffusa in Lombardia e oltre, tanto che da Pavia e Ferrara provarono a rivendicarne la paternità.
La prima definizione official di "Panaton" si ritrova però in un dizionario italiano-milanese del 1606 e il rito del ceppo viene ripreso da Pietro Verri nel 1700 nella sua Storia di Milano. Il lievito farà assumere solo più tardi la forma odierna al panettone. Se ne parla per la prima volta in un ricettario del 1853 di Giovanni Felice Luraschi. Certo, dopo tutte queste affascinanti storie se dite ancora di preferire il pandoro siete ufficialmente dei Giargiana.
Seguici anche su Instagram, taaac!