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Il lusso in rosso? La situa non appare ancora così buia, ma c'è dello sbatti concreto che sta viaggiando da fine 2023 e arriva spedito ai primi mesi del 2024. A guardare i colossi LVMH e Kering che si contendono il guanto del potere viene da chiedersi se davvero il rischio di una débâcle sia concreto. 

I due capi fila del settore lusso, infatti, pur con introiti da capogiro, hanno visto scendere i propri ricavi rispetto allo stesso periodo del 2023. Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy, ricordiamocelo ogni tanto che cosa vuol dire sta bella sigla), proprietario Bernard Arnault, ha incassato 20 miliardi di euro da gennaio a marzo, ma perdendo comunque il 2% in confronto all’anno scorso. Kering, che fa invece capo ai Pinault (lo sappiamo tutti, questi francesi confondono) ha avuto una flessione pari all'11%. I ricavi si sono "fermati" a 4,5 miliardi di euro, rispetto ai quasi 5 miliardi del primo trimestre 2023.

Ci sono poi i mercati finanziari, con Lvmh e Kering entrambe quotate su quello parigino, che hanno visto momenti migliori. Il gruppo di Pinault in particolare, dopo un profit warning sui ricavi del primo trimestre, ha visto a fine marzo un crollo del titolo in apertura di seduta da 7 miliardi di capitalizzazione.  
First reaction, shock? Nì. I rallentamenti nelle vendite e un possibile 2024 stagnante erano già nelle proiezioni degli addetti ai lavori. In particolare, proprio Kering non sarebbe un paragone attendibile per il resto del luxury.

Why?

Il gruppo di Pinault ha come nave ammiraglia Gucci, in affanno dal 2022, e prevedere le vendite future del brand con la doppia G è ancora prematuro dopo il passaggio di consegne da Alessandro Michele a De Sarno. Resta vero che Sabato De Sarno, nominato a gennaio 2023, ha già sfornato due collezioni e i risultati tardano ad arrivare. Mentre la pazienza si fa presto a perdere, come tutti sappiamo. E i mercati non fanno eccezione. 

Oltre a mostrare un certo nervosismo dilagante come ogni milanese che si rispetti nelle ore di punta, l’inizio 2024 delle borse è un po' too much anche per gli imbruttiti. Un esempio è Brunello Cuccinelli che il 14 marzo, a mercati chiusi, fa uscire i dati sulla redditività con l’utile netto che cresce del 42% raggiungendo i 123,8 milioni. Il giorno dopo però il titolo in borsa arriva a perdere il 7% con un’ansia di vendita che nemmeno i commessi ai saldi. 

Altri fattori da considerare sono il mercato asiatico, in particolare quello cinese, che insieme agli States è tra i primi dei beni di lusso personali. La Cina ha rallentato la sua crescita complessiva e si teme una bolla immobiliare che possa saltare da un momento all’altro. Prospettiva per nulla allettante. 

Ma ci sono state anche belle notizie.

La nostra Miuccia Prada, baluardo della moda italiana, ha visto il brand in crescita del 16% a quota 1,19 miliardi di ricavi, spinto anche dallo straordinario successo di Miu Miu (ecco cosa comprano i giovani glitterari). Pure Hermès, tra le case di moda più antiche, non piange miseria con ben 3,81 miliardi di euro, in aumento del 17%. 

Sempre per non cadere negli allarmismi il nostro Arnault (quello di Lvmh) ha addirittura fatto sapere di "essere molto contento del rallentamento" perché ritiene necessaria una normalizzazione delle cifre da capogiro a cui ci aveva abituati per la sostenibilità della crescita a medio e lungo termine. Sarà vero o è un modo molto francese per dire supercazzola? Non resta che aspettare la chiusura anno. 

 

Autrice: Giulia Cannarella

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