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Food&drink
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Spoiler Alert: leggete (e bevete) responsabilmente. 

Qualche tempo fa mi trovavo in un'enoteca in Porta Venezia. Appesa a un muro c'era una lavagna con scritto sopra: "Il vino del contadino è una cagata pazzesca". TOP. Ecco la frase emblematica che ti svolta la serata.

Cari Imbruttiti, dovete sapere che dietro a questa freddura/provocazione si apre un mondo talmente incasinato che nemmeno immaginate. Intorno a quello che viene definito vino naturale la situa è molto seria, guai a minimizzare. Non si tratta di una moda passeggera. Potrebbero anche scattare insulti e risse se al tavolo siedono un hipster, talebano del vino senza chimica, con un enofighetto che considera tutti i vini naturali bianchi torbidi o rossi con le puzze e sogna di sbocciare un Sassicaia d'annata.

Se poi nella combriccola c'è pure qualche boomer, di quelli che sostengono di aver vissuto in prima persona scampoli del bucolico mondo antico contadino, apriti cielo. Preparatevi a un'ora di ricordi su come il sciur Brambilla, negli anni Ottanta, partiva dal Giambellino con il baule della Fiat Ritmo pieno di damigiane vuote. Direzione Oltrepo pavese. Ritornava con un carico di bonarda frizzantina sfusa genuina, da imbottigliare giù da basso, nel box. 

Poi c'è sempre quello che aveva il nonno, lo zio, il trisavolo o il bis-cugino che curava la vigna. Si saliva tutti insieme per la vendemmia su un trattore in tangenziale. L'uva veniva pigiata dai morbidi piedini di giovani donzelle che indossavano vestiti svolazzanti, cappelli di paglia e cantavano allegre. Alla sera poi tutti a ballare, brilli e felici nel fienile. In realtà, tutto ciò poteva essere romantico e divertente per chi era giovane ai tempi, ma la maggior parte di quei vini ora ci farebbero schifo (e non a causa dei piedini profumati delle donzelle).

Le imprecisioni tecniche nel produrli li rendevano prodotti alimentari molto vulnerabili, tanto che spesso giravano in aceto, buono (forse) solo per condire l'insalata. Poche balle. Oggi il vino si produce con molta più tecnica, professionalità e controlli. Chi è curioso di questo mondo non deve però avere pregiudizi. Se l'hipster, che ora fa l'espertuso solo perché ha visto un recente servizio di Report su Rai 3, inizia a blaterare su solfiti, fermentazioni spontanee, lieviti indigeni e altre amenità, stoppatelo subito.

Fategli notare che sta accompagnando un orange wine biodinamico, macerato in anfora secondo metodi antichissimi, con delle noccioline che contengono più solfiti della maggior parte dei vini in commercio, compreso quello venduto in cartone al discount. Per non parlare del pezzo di focaccia che ha appena addentato, lodandone la fragranza. Preparata con il lievito di birra comprato all'Eurospin. Come la mettiamo amico hipster? Incoerenza o semplice ignoranza?

Dovete anche dirgli che non esiste una vera definizione legale di vino naturale. Quindi ognuno fa un po' quel kaiser che gli pare. Sta al consumatore approfondire e, credetemi, se uno vuole solo bere un bicchiere di vino in santa pace, può essere uno sbatti non da poco. L'unica cosa un po' easy, ma nemmeno troppo, è il brand con la fogliolina verde del biologico certificato. Dai, quello lo abbiamo visto tutti almeno una volta. Tel chi...

 

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Per non farla lunga Bio(logico) significa che il produttore di vino (o di altri alimenti) può fare alcune cose e altre no, generalmente un compromesso tra il green estremo e i disciplinari un po' più permissivi in tema di chimica in vigna (e in cantina). I puristi del vino naturale spesso minimizzano il biologico. Lo considerano  uno standard minimale, convinti che con l'armonia del creato non bisogna scendere a patti. Ci sono varie correnti di pensiero - il biodinamico per esempio è una delle più note (googlate e vi si aprirà un mondo).

Ok, la filosofia, ma se vuoi presentare nel bicchiere un vino buono, minimizzando ogni pratica enologica, devi essere un produttore cazzuto. Non devi sbagliare nulla, sei senza paracadute. Quindi, diciamo un grande sì al vino naturale ma zero spazi per chi si improvvisa custode di una natura che non conosce a fondo. Siamo gente che vuole emozionarsi con un calice in mano, ci interessa un vino che si presenti bene agli occhi, al naso e alla bocca, che abbia una storia da raccontare e che non ci faccia venire il mal di testa il giorno dopo.

E visto che i QrCode si sprecano per le cavolate, perché non inserire un codice in etichetta per sapere qualcosa in più sul contenuto della bottiglia che abbiamo di fronte? Imbruttiti, non accontentavi mai delle apparenze, nell'alcool come nella vita bisogna essere curiosi. Alla salute!

 

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