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Houston, forse abbiamo un altro problema. È uscito un nuovo sondaggio sul rapporto fra giovani e lavoro e di nuovo emerge come questa relazione sia più complicata di quella fra Lupin III e Fujiko. Abbiamo visto i Gen Z allergici al lavoro in ufficio, impegnati a cazzeggiare senza farsi sgamare e più inclini al proprio benessere che non allo stress da carriera. Adesso, salta fuori che i giovani vivono con il lavoro anche un rapporto di grande incertezza.

A dirlo è una ricerca di Grafton, brand di Gi Group Holding specializzato in Professional Recruitment. Non che non abbiano voglia di fare, per carità, anzi: il 43% dei giovani professionisti ci tiene a far emergere le proprie competenze (d'altronde a chi non piace fare bella figura e bullarsi un po' in maniera innocente?!). E si sentono anche capaci, evidentemente, se il 59% di loro vuole avere autonomia sul lavoro. Ma se chiedi loro dove si vedono fra cinque anni, una risposta su due è un sonoro "BOH?!?!?!". Il motivo? Per il 21% degli intervistati la mancanza di idee chiare sul lavoro e per il 15% l’instabilità del contesto esterno (in effetti, anche ai più anzianotti ogni tanto guardarsi attorno suscita un certo brivido lungo la schiena). Il 10% dei lavoratori GenZ parla di "insoddisfazione o precarietà della condizione attuale", l’8% vorrebbe completare il proprio percorso di studi mentre il 7% la vede malissimo per la propria crescita personale. 

Anche questo sondaggio conferma che la work-live balance è più importante dell'affermazione professionale (per il 67%) e che "carriera" fa rima con "successo" solo per il 12% degli intervistati. Il 33% del campione si sente realizzato se raggiunge il benessere personale, il 27% se raggiunge i propri obiettivi e il 23% se mette su famiglia. La carriera, inoltre, è meno rilevante di un clima positivo al lavoro nel 70% delle risposte: aziende avvertite, quindi, scommettete sulla soddisfazione e non sulla competizione tossica.

E chi sente di non avere tutte le carte in regola con la preparazione, non se ne faccia un cruccio: le soft skill contano più delle hard skill, perché con l'intelligenza artificiale all'arrembaggio ciò che ci rende più umani conta più di ciò che ci rende performanti.

Conclamata e positiva la propensione al cambiamento, percepito come opportunità di crescita e miglioramento dal 77% del campione. Addirittura, una persona su tre è pronta a cambiare lavoro ogni quattro anni al massimo e una su quattro programma di farlo entro i prossimi sei mesi. I motivi per cui cambiare aria sono tendenzialmente sempre quelli: più sicurezza economica (40%), retribuzione migliore (37%) e meno sbatti (32%).

E adesso, a qualunque generazione apparteniate, tornate a lavorare che sennò qui le pensioni non le vede più nessuno!

 

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