
Una moda accessibile, ma di valore. È l’idea semplice e di successo di Arthur Ryan fondatore di Penneys, colosso della moda irlandese famoso in tutto il mondo. Non vi si accendono lampadine? E se dicessimo Primark?
Siamo a Dublino, anno 1969 e il buon Arthur vuole dare ai suoi concittadini un negozio per vestirsi bene senza rimetterci il borsello. Apre così il suo primo grande magazzino di abbigliamento al numero civico 47 di Mary Street. Dire che è un successo è dir poco. Nella sola isola verde i Penneys diventano super popolari e ad oggi si contano ben 37 punti vendita. Ma perché noi lo conosciamo come Primark? E cosa c’entra una mega gruppo del food?
Una cosa alla volta. Fuori dall’Irlanda Penneys deve fare i conti con un altro marchio, già noto e per nulla felice di condividere il mercato o il nome (beh parte): parliamo di JC Penney. Onde evitare rogne si decide per una nuova brand identity (solo fuori dall’Irlanda) e nasce così Primark, con primo negozio in Inghilterra a Derby.
E il comparto cibo? Penneys viene finanziato nel suo lancio dall’Associated British Foods. Chi sono costoro? Tutto parte da Garfield Weston, canadese, che arriva in UK durante la Prima guerra mondiale e decide di restare replicando il business di famiglia sul nuovo territorio. Garfield si occupa di bakery e amplia gli affari comprando altri negozi simili al suo. Crea un’alleanza chiamata proprio Allied Bakeries per poi passare anche alle caffetterie. L’espansione continua, il nome diventa quello attuale e dopo anni in cui il core business è sempre il cibo (con tutta la mia approvazione) decide di acquistare Fine Fare, un grande supermarket in cui si vendono anche altri beni di prima necessità. ABF apre quindi a una nuova strada, quella del retail. E qui arriva Primark o Penneys che dir si voglia.
Con una solida base di finanziamento Primark inizia la sua scalata al successo mondiale, rafforzando prima la sua presenza nel regno Unito, che resta il mercato principale, ma facendosi conoscere anche all’estero. Spagna, Olanda e Portogallo sono i primi esperimenti, tocca poi a Germania, Belgio e Francia. Nel 2015 Primark vola oltreoceano puntando a Boston come prima sede USA. L’Italia arriva nel 2016 ad Arese e poi il flaghship store a Milano. Nel 2024 viene festeggiato il traguardo di 450 punti vendita e 17 paesi.
Primark fa anche una politica controcorrente rispetto ai competitor privilegiando l’esperienza nei suoi store, rispetto all’e-commerce. Non che ignori il digitale eh, ma vuole i negozi pieni più che i carrelli online in attesa. Altro punto di forza: le collaborazioni. Disney, NBA, Marvel, Hello Kitty e altre capsule collection attirano i millenial come api sul miele e pure le generazioni più giovani. Si aggiungono poi le proposte per i bambini, per la casa, i viaggi e il reparto beauty. Come resistere? Se qualcuno lo sa mi faccia sapere. Ma veniamo al succo. Il Fatturato.
Primark e il fatturato
Solo nel 2023 Primark registra introiti per 9 miliardi di sterline. A fare da traino l’apertura di 8 nuovi store in America che segnano il +24% delle vendite, ma non è da meno l’Europa a +18% e il Regno Unito a +11%. L’utile operativo sale a 717 milioni. Non contenti, da Primark si sono superati anche nel 2024 trascinando i risultati dell’Associated British Foods. Il gruppo britannico vede un aumento del fatturato con un turnover di 20 miliardi di sterline (circa 24 miliardi di euro). La singola divisione di vendita al dettaglio che comprende dunque Primark mette a segno un +5% a 9,4 miliardi di sterline.
A fare bene in particolare Francia e Italia, con vendite in aumento del 12%. E proprio sul nostro Bel Paese punta il colosso irlandese (rima involontaria) con un piano da 150 milioni di investimenti fino al 2030 con il numero dei punti vendita che arriveranno a circa 35 negozi. Per ogni negozio l’investimento di Primark è in media tra gli 8 e i 10 milioni di euro mentre il personale impiegato oscilla tra i 150 e i 500 addetti. Se qualcuno volesse farci un pensiero potrebbe non essere un’idea malvagia monitorare la sezione “lavora con noi”.
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