Vi avevamo raccontato non molti giorni fa di come la Lega volesse vietare l’educazione sessuale fino alle medie, idea poi fortunatamente ritirata causa polverone generale. In generale, sappiamo che il Governo non è particolarmente entusiasta di portare l’educazione sessuale nelle scuole, nonostante questo possa essere uno strumento (fra i tanti) per educare da giovanissimi al rispetto e al consenso. Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha infatti concesso solo a superiori e medie (primaria e infanzia sono escluse) progetti su questo tema. In questo contsto, tuttavia, si erge paladina una città: Genova. Partirà infatti a gennaio 2026 il progetto sperimentale del Comune di Genova guidato dalla sindaca Silvia Salis (centrosinistra) che introdurrà percorsi di educazione sessuo-affettiva in quattro scuole dell’infanzia comunali.
I dettagli del progetto
Verranno coinvolti 300 bambini e bambine dai 3 ai 5 anni, con l’obiettivo di promuovere la consapevolezza di sé, il rispetto del corpo e l’accettazione delle differenze (da precisare: non l’insegnamento di contenuti sessuali). Il project, realizzato naturalmente con il consenso dei genitori, è sviluppato in collab con i centri antiviolenza Mascherona e Per non subire violenza e – a detta del Comune – non inciderà particolarmente sulle finanze pubbliche. Come spiegato dall’amministrazione, i percorsi si concentreranno su:
- accettazione delle diversità
- riconoscimento e percezione del proprio corpo
- identità personale e relazionale
- gestione delle emozioni
“Il compito educativo spetta anche allo Stato. Questo è un piccolo passo, ma con l’aria che tira credo sia un grande segnale“, ha dichiarato Salis, netta. “In questo Paese è impossibile pensare che non ci sia bisogno di educazione sessuo-affettiva nelle scuole ed è anche impossibile sostenere che debba essere una responsabilità a carico delle famiglie. Dicono che ci sono altri problemi: delegittimare questi temi è una forma di violenza che va combattuta“. E ancora: “Dai territori può partire un movimento culturale che vada a scardinare il populismo becero che ha invaso questo Paese“.
Ad andare nelle scuole saranno alcuni volontari dei centri antiviolenza, che si sono messi a disposizione gratuitamente. Lo spiega a ilfattoquotidiano.it Manuela Caccioni, la responsabile del centro antiviolenza “Mascherona” che gestirà la sperimentazione. “Siamo convinti, sia noi che l’amministrazione, che per interrompere la spirale di violenza sia necessario lavorare con i più piccoli. Alle superiori è già tardi. Lo testimonia il fatto che ai nostri centri, a differenza del passato, dopo il nostro lavoro nelle classi, arrivano 16-17enni che ancor prima di aver preso uno schiaffo si rivolgono a noi perché si sentono oppresse, controllate“.
Ma quindi, in cosa consisteranno questi corsi? “Faremo educazione all’emozione, promozione all’empatia in forma giocosa con storie che valorizzano la non violenza. Se dici la parola ‘sesso’ tutti pensano a chissà cosa ma sappiamo che son bambini dai tre ai sei anni: servono giochi di gruppo, è utile parlare con loro della paura, della rabbia. La repressione delle emozioni porta ad un’aggressività che può essere contenuta. Vogliamo coinvolgere non solo i bambini ma anche gli insegnanti e le famiglie per promuovere un’ azione da pari a pari senza gerarchie”.
È partita subito la polemica
Tempo zero e l’iniziativa di Salis è finita in Parlamento, con un’interrogazione presentata al ministro Valditara dalla senatrice ligure della Lega Stefania Pucciarelli: “È una scelta che solleva enormi perplessità sul piano educativo e sul rispetto delle competenze familiari. Bambini così piccoli non possono essere coinvolti in percorsi che rischiano di essere strumentalizzati per fini ideologici o addirittura politici. Nessuna amministrazione locale può sostituirsi ai genitori in ambiti che richiedono sensibilità, gradualità e rispetto dell’età evolutiva dei minori“.
La Lega, quindi, chiede al ministro Valditara di verificare la conformità dell’iniziativa con le linee guida ministeriali “e di intervenire per tutelare il diritto delle famiglie a essere protagoniste dell’educazione dei propri figli. Mancano dettagli sui contenuti dei corsi e sulle modalità con cui le famiglie saranno coinvolte, e questo è inaccettabile“.
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