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Editorial
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26 Aprile 2020, quarantanovesimo giorno di lockdown, forse quello in cui ho contato le mattonelle del bagno la mattina e sfornato la sedicesima torta la sera.

Conte parla in tv. 

Ora, non so voi, ma quando Conte parlava in tv per me era qualcosa tipo l’apertura dell’Ushuaia a Ibiza, quindi arrivavo dopo un brillantissimo pre-serata in cucina con vino bianco fermo e forno ventilato aspettando il set del guest. 

Warm up classico, m’inizio a scaldare.

Apice della serata, 180 bpm.

E sbam, Giuseppe mi tira fuori la parola CONGIUNTI

First reaction: shock. 

Ora, qualunque sia il motivo per cui uno o una sia single, la prima cosa che serve sapere è che non essere in coppia non significa essere soli. Significa però anche che non essere soli non implichi di non poter attraversare momenti di solitudine sacrosanti, ma questa è un’altra storia. Quindi, che siano frequentatori occasionali, casuali, a umori alterni, a sparizioni intermittenti, a ribaltoni costanti, a weekend-free o a feriali no, che si coltivino legami con quelli del io vivo solo il momento o gli highlander del giorno dopo, noi poveri cristi single non siamo piante grasse, come ci hanno immaginati i vari DPCM. Forse avranno pensato che ce la spassiamo a casa con le monoporzioni a riprodurci per partenogenesi, se no non si spiega. Poi va bene tutto, ma è stata ignorata una seconda questione importantissima da sapere sui single: se un single chiede a un altro single “Noi cosa siamo?”, il primo single è un single morto.  

Comunque a quel punto si paravano davanti due strade: fare la fine di Chuck Noland con il pallone Wilson, oppure rischiare la pellaccia e fare allo scopamico di turno o pseudo-candidato alla relazione la fatidica domanda. 

Quindi dal 26 Aprile, Giuseppe Conte – possiamo dirlo - ha messo a repentaglio la vita di un’intera categoria di persone che avrebbero dovuto firmare un’autocertificazione di legame ufficiale, quando di solito si sfiorano crisi epilettiche per un banale "Ci si sente" buttato lì timidamente dal più audace dei due a fine serata. 

Io mi colloco tendenzialmente nella categoria degli audaci, eppure quella questione mi ha fatto salire un immediato bisogno di Gaviscon e mi sono rifiutata di fare all’interessato la domanda. Ad aggravare il tutto, c’è pure il fatto che me la stavo passando non troppo bene in south-non-working, in un paese dove se superati i 30 anni sei single, puoi essere tendenzialmente solo due tipologie di persone: o Bridget Jones o Giovanna d’Arco, quindi avviata su una strada già parecchio in salita; ma dopo il cul-de-sac in cui ci aveva cacciati quella parola, congiunti, che manco Manzoni nel ‘600, decisi di continuare con la pasticceria e il lievito di birra, immaginandomi già testimonial di birre di frati trappisti. Per mesi il mio affetto stabile è stato il corriere di Amazon che mi aspettava sotto casa, e con un romanticismo anni ‘90 mi consegnava a mano delle gioie in scatola. Ho ordinato le più indispensabili cose inutili, e il suono del citofono era diventato tipo la tromba dell’Arcangelo Gabriele che annuncia cose.   

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È stato nel pieno di questa fase compulsiva che sono riuscita anche a realizzare il mio trasloco a Milano, dove sono tornata a vivere ad agosto, mese in cui si oltre a sciogliersi l’asfalto, quest’anno si è consolidata la teoria dei colori. Dal mio arrivo, solo una palette di toni caldi per la Lombardia, con cui Giuseppe Conte, detto Pai Mei, ha potuto sfoggiare la tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi della dita per farci schiattare definitivamente nei nostri metri quadrati di bestemmie, il tutto secondo il motto “In zona arancione parrucchieri aperti, estetiste chiuse”. Aiuto. 

In questo stagno di sfiga, come i detenuti nel braccio della morte che non hanno nulla da perdere, anche io, ebbene sì, ho ceduto al cruciverba Tinder, che ha avuto la durata media di una qualsiasi pianta in casa mia: mezza giornata. Un concentrato di poeti da aforismi, culturisti da selfie, gattari seriali e bio da biscotti della sfortuna, che improvvisamente il Covid mi sembrava la morte meno violenta. Chiaramente il Covid è stato uno schifo – quello vero me lo sono passato -, e a tratti mi ha fatto cagare sotto dalla paura, ma in 15 giorni l’ho sconfitto diventando azionista Netflix. 

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La cosa che mi ha insegnato è che un mega cotton fioc stantuffato nel naso è comunque meno fastidioso di un uomo che dopo averti vista per quattro giorni ti chiede di sposarlo; e che, a sua volta, questo flagello è meno fastidioso di un uomo che non avendoti mai vista ti chiede di sposarlo. Lo so, sembra il sequel di Alice nel Paese delle Meraviglie quando incontra il Cappellaio Matto e il Leprotto Bisestile, ma vi assicuro che nessun Carroll è stato maltrattato per la realizzazione di queste follie, è vita vera. Vita mia. Così vera che, mai come in quei momenti, ho sentito la mancanza del menoso di turno che da prescrizione medica rivendicasse libertà che non nessuno gli stava toccando. 

E per fortuna quel prototipo di menoso è arrivato.

E quando arriva quel fenotipo lì nella tua vita, è un giorno di merda ma anche sereno, perché non c’è niente di più rassicurante di sapere che questo periodaccio qualcosa non l’ha cambiata, e quel qualcosa è la paura. Così, a volte, a noi single succede anche di sentirci come i temporary shop svuotati prima della chiusura definitiva; altre di sentirci un evitabile riempitivo, come la quinta stagione di Lost. È la quota di rischio che sappiamo sostenere perché siamo i braveheart dell’all you can eat, perché sappiamo sopravvivere ovunque e Darwin ne sarebbe andato fiero, ma soprattutto perché siamo consapevoli che il posto più difficile in cui stare è nei panni degli altri e, quindi, anche la paura più stronza, resta una paura di cui non sappiamo veramente un cazzo, e va vista nello stesso modo in cui entriamo nella Cappella Sistina: stando zitti. 

In questo scenario da Apocalisse, in cui anche Lourdes ride in faccia a tutti ormai, c’è un’altra cosa da sapere sui single: non siamo solo una categoria esclusa dai ricongiungimenti concessi dallo Stato, ma siamo donne e uomini, tutti alla ricerca di qualcuno. Diffidate di chi vuole convincervi del contrario: le relazioni sono forse le più acute e sottili forme dell’ambivalenza, e proprio per questo sono al primo posto nell’agenda di tutti. Il punto, però, è che in questo umano desiderio non c’è necessariamente - né per tutti -, struggimento o ansia, e non c’è, al contrario, necessariamente un ego ipertrofico che sguazza senza girello, e non c’è, infine, necessariamente l’irreversibilità di impollinare i fiori di tutte le aiuole. Quindi non pensateci con invidia, perché alcuni single sono solo dei Bojack Horseman che spacciano Libertà da una gabbia dorata a San Vittore; non pensateci con timore, perché alcuni single sono solo dei SuperVicki travestiti da ganzissimi; e non pensateci con compassione, perché alcuni single sono nient’altro che se stessi, e si sentono interi e innamorati a prescindere, come la più autentica e riuscitissima impresa eccezionale di ‘sto viaggio terrestre. In soldoni, vi basti sapere che a volte ci suona tutto come una gran figata ma altre ci suona solo come una svilente rottura di coglioni; è così per tutti, nessuno escluso. 

All’alba della prima candelina di quest’anno un po’ strambo e un po’ stronzo, che ci impone distanziamento sociale e sorrisi invisibili, rapporti algidi e risicati, abbracci abortiti e mani in tasca, baci proibiti e sconti per l’abbonamento a PornHub premium, io voglio battermi per poche cose, ma fondamentali: 

- Fondare un’associazione per la difesa dei diritti dei peli dimenticati;

- Sostituire Mastrota a Leopardi come icona del pessimismo sull’amore, perché con materassi singoli garantiti a 20 anni ha vinto tutto;

- Inserire nel dizionario la parola amici per spiegare la parola famiglia, e già che ci siamo inserirla in tutti i prossimi DPCM a venire;

- E voglio che sia inciso nel marmo che è scientificamente provato che si possa sopravvivere senza congiunti, ma senza gli affetti è impossibile!

E se non vi fidate di me, lo dicono i Neri Per Caso since 1995: “Si può amare da morire ma morire d’amore no”.

Articolo scritto da Valeria Signorelli

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