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Qualche giorno fa vi abbiamo raccontato di come la Scozia si stia preparando a sperimentare la settimana lavorativa di quattro giorni, a stipendio pieno. Una prova che segue quella dell'Islanda, che è andata alla grandissima. E l'Italia come sta messa? Malino, tocca dirlo. Ma non tutto è perduto: c'è chi ha deciso di provarci anche da noi e da quello che ci hanno rivelato pare proprio che sia stata una scelta azzeccatissima. Top.

Carter & Benson, azienda milanese leader nella ricerca di top manager e consulenza strategica, ha deciso di adoperarsi per un più equo bilanciamento fra lavoro e vita privata. E così lo scorso anno, a gennaio, il CEO William Griffini ha introdotto la riduzione di quattro ore a parità di stipendio con la promessa che se l’esperimento si fosse rivelato positivo, nel 2021 avrebbe esteso la cosa a otto ore. E così è stato. "Il modello della settimana corta sta andando molto bene - ci ha rivelato Griffini - Le persone possono disporre di queste otto ore come e quando lo ritengono opportuno senza essere vincolate da giorni e orari". Una flessibilità che rende i dipendenti più autonomi e responsabili nell’organizzazione del loro lavoro, nel raggiungimento degli obiettivi, nella qualità e nell’efficienza del lavoro stesso. Good job!

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William Griffini, CEO di Carter & Benson.

Non servono numeri per valutare il successo di questo modello. "Sono convinto che non si possa misurare un’azione di welfare con parametri legati alla produttività: se si punta al benessere degli individui, la scala metrica non può e non deve essere la produttività. L’introduzione di questo nuovo modello ha significato anche l’implementazione degli investimenti nelle nuove tecnologie e l’inserimento di nuove risorse da far crescere sotto la guida dei nostri senior. Tutto questo non fa altro che migliorare sempre di più il servizio verso i nostri clienti".

In realtà di aziende big che stanno sperimentando o vogliono testare la settimana corta ce ne sono diverse. Anche il brand spagnolo Desigual, quello dei vestiti strani e coloratissimi, ha deciso di provarci: il prossimo 7 ottobre i dipendenti dell'azienda voteranno una proposta che, se passerà, porterà la settimana lavorativa a 4 giorni. In più si gestiranno tra lavoro in presenza e smart working. Una figata. La proposta nasce dal desiderio di rendere Desigual "Il miglior posto in cui lavorare, un luogo unico dove le persone possono svilupparsi professionalmente con un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, godendo di ciò che fanno e combinandolo con la loro vita privata", come ha spiegato il CEO Alberto Ojinaga. "Gli ultimi mesi ci hanno dimostrato che possiamo organizzare il nostro lavoro e i nostri team in modo diverso, pur rimanendo efficienti e dando priorità a ciò che è veramente importante". Giusto. Nel caso di Disegual, però, la settimana corta (se votata dai dipendenti) porterà a una minima riduzione dello stipendio pari al 13%. Oh, son scelte. 

In Europa, comunque, questo modello sta già prendendo piede. In Olanda la settimana lavorativa è di 4 giorni con circa 29 ore di lavoro settimanali, la Norvegia è a 33 ore di lavoro a settimana. In Danimarca molte realtà prevedono 33 ore a settimana. In Svezia alcune aziende stanno sperimentando la short week da un po': la Toyota, a Göteborg, ha turni di 6 ore, che hanno portato a un miglioramento degli utili. Carta canta. In Giappone, Microsoft ha sperimentato la settimana lavorativa di quattro giorni, dal lunedì al giovedì, senza ridurre la retribuzione. Il risultato? I lavoratori sono stati quasi il 40% più produttivi durante l’agosto delle settimane lavorative brevi che nello stesso mese dell’anno precedente. Ma possibile che gli evidenti pro di questo modello non bastino a convertire il nostro Paese a un orario lavorativo ridotto? 

"In Italia ci sono già esempi di aziende virtuose che hanno implementato con successo un concetto di worklife balance", ci ha spiegato ancora William Griffini. "Tuttavia, se il modello della settimana corta è ancora lontano, è perché oggi non abbiamo alcun riferimento legislativo a tematiche di merito e responsabilità. Siamo ancora regolamentati da un contratto nazionale del lavoro che ha 50 anni e si basa sul concetto di tempo-stipendio, tempo-denaro". Insomma roba da matusa, alla quale andrebbe tolta la polvere. "A questo si aggiunge anche un problema culturale che si esplicita nel controllo del dipendente, oltre a un aspetto economico che vede le imprese orientate ad aumentare la produttività e non sempre disposte a ridurre i margini in favore dell’introduzione di nuove risorse. Oggi bisogna saper valorizzare le persone. Non è più sostenibile definire il rapporto di lavoro solo in base al tempo dato dal dipendente e al denaro corrisposto dal datore di lavoro. Bisogna condividere il fare impresa con le persone che fanno l’impresa". 

Non un concetto difficile da comprendere. Perché allora, al di là dell'iniziativa delle singole aziende, ancora nulla si sta muovendo dall'alto? Anzi, i dati più recenti mostrano un peggioramento delle condizioni dei lavoratori nel mondo, e l'Italia è uno di quelli messi peggio. Le nuove tecnologie, invece di migliorare la situation, vengono sfruttate dai boss per raggiungere i propri dipendenti ovunque e a qualsiasi ora. Tra le conseguenze: nessuna assunzione e peggiore qualità del lavoro, per non parlare dei diritti dei lavoratori, questi sconosciuti. Insomma, un plauso alle aziende virtuose ma la strada è ancora lunga

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