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Carrozze per sole donne sui treni? Anche no, grazie

A molte di noi, almeno una volta nella vita, è capitato di avere paura sui mezzi pubblici: ma perché non aumentare i controlli e inasprire le pene invece di ghettizzarci?

Come molti di voi sapranno, a inizio dicembre due ragazze poco più che ventenni sono state vittime di due stupratori sul treno S5 Milano-Varese. Una è riuscita a scappare, l’altra, purtroppo, è stata violentata. Una brutta, bruttissima storia, che trova terreno fertile nella sensibilità femminile. A molte di noi, almeno una volta nella vita, è capitato di avere paura sui mezzi pubblici, magari di sera, magari all’interno di un vagone mezzo vuoto. Catcalling, approcci sgradevoli, sguardi insistenti. Oppure peggio. Molestie, palpeggiamenti, strusciamenti. Quante volte ci è capitato di non sentirci sicure? Ne avremmo, da raccontare.

Dopo i fatti accaduti sul treno S5 Milano-Varese, è stata pubblicata una petizione su change.org, iniziativa di una donna residente a Malnate (Varese). “Con questa petizione chiediamo a Trenord di dedicare, su tutte le sue linee, la carrozza di testa alle donne. In questo modo, a qualsiasi ora, si potrà viaggiare sicure”. Una proposta che, inevitabilmente, ha dato il via a un’accesa discussione tra chi la trova sensata e chi, invece, ritiene questa idea un fallimento. Ecco, mi accodo al secondo team. 

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Certo, per carità. Tocca ammettere che probabilmente ci sentiremmo più sicure se avessimo la certezza di trovarci in uno spazio abitato solamente da donne. Ma tocca ammettere con altrettanta onestà che questa non può, non deve essere la soluzione. Come ha detto il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, intervistato all’evento Direzione Nord, ci troveremmo così costrette in una sorta di apartheid. Chiuse in una bolla di autodifesa, emarginate pur nel tentativo di farci sentire rassicurate.

Ma, onestamente: uno stupratore si può sentire davvero ostacolato da un’iniziativa di questo genere? Perché non intercettare una vittima in una via buia, fuori da un locale, in un parco? Meglio, allora, intensificare i controlli. Qualcuno che faccia brutto sul serio e che, nel caso, peschi queste merde umane e le metta davanti alla dea della giustizia. “Allora a questo punto chiedo che ci siano più controlli, che mandino l’esercito sui treni a controllare le tratte e gli orari più pericolosi”, ha detto Fontana, e mi trova d’accordo. Perché mai noi dovremmo rinunciare a una vita piena e non limitante? Perché dovremmo rinunciare, magari, a incontrare un ragazzo carino sul treno? A socializzare con persone di ogni genere? Perché, alla fine, dobbiamo rimetterci noi per colpa di qualche essere schifoso?

Si tratterebbe di una misura ghettizzante che finisce per punire chi viene perseguitato. Un paradosso. Aumentare i controlli, e le pene. Prima di tutto. E poi lavorare alla base, educando i maschi già da bambini al rispetto per l’altro sesso. In un periodo storico in cui dovremmo andare verso un’evoluzione nella parità di genere e, in generale, nei temi legati al mondo femminile, un vagone vietato agli uomini mi fa immaginare una civiltà in fase di regressione. Che deve allontanare la tentazione dallo sguardo malato, invece di punire quello stesso sguardo.

Eppure… eppure la petizione sta andando forte. Molte donne si sentirebbero protette da una carrozza Ledies only, e non me la sento di giudicarle. Anche perché in molti paesi del mondo questi luoghi già esistono. In Giappone, ad esempio, ogni treno riserva carrozze alle donne. Anche in Malesia, Thailandia, Brasile, Egitto e India. Io però non voglio essere nascosta, voglio essere tutelata. Non voglio che mi si impedisca di incontrare uomini. Non voglio che un molestatore, visto che non può trovarmi sul treno, mi cerchi altrove. Non sono io, non siamo noi a dover cambiare abitudini. Insomma, non è di certo la nostra, di libertà, a dover essere limitata. 

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