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Tempi davvero bui per i cinema. La pandemia ha messo in ginocchio il settore, anzi, l'ha proprio steso. Tanto che, dopo l'Apollo, anche l'Arlecchino ha dovuto abbassare la saracinesca. E non si sa fino a quando. Il monosala in via San Pietro all’Orto a causa del virus ha subito un calo delle presenze del 70% rispetto al 2019. That's it. In centro adesso resiste soltanto l'Odeon (ma dimezzato negli spazi). Sadness.

Questi due anni trascorsi tra quarantene, lockdown e generale diffidenza hanno tenuto lontane le persone dalle sale. Comprensibile, per carità. La pandemia ci ha avvicinati ancora di più ai vari Netflix, Prime Video, Disney+, e il risultato è che al cinema non ci va più nessuno. I sindacati stanno provando a combattere, chiedendo regole sui tempi minimi che devono passare tra l’uscita del film in sala e il debutto sulle piattaforme; ma vogliono anche abolire la norma che impedisce la somministrazione in sala di cibo e bevande

"È un dispiacere prendere questa decisione - ha detto Tomaso Quilleri, ex gestore dell'Arlecchino, alla rivista Box Office - Purtroppo, in un’ottica di redditività industriale, le monosale sono una realtà che opera strutturalmente in perdita: era così già prima della pandemia e ora con la situazione critica dell’intero settore è ancora peggio. Le monosale possono ormai operare solo in una logica di presidio culturale e di luogo di aggregazione di una comunità. A Milano esistono monosale di questo tipo che funzionano molto bene, come il Beltrade: sono luoghi di incontro, gestiti con una creatività artigianale, come una bottega o una boutique. Luoghi che però devono poter contare su una comunità locale, su un pubblico di prossimità, di quartiere: la zona dell’Arlecchino, purtroppo, è ormai diventata solo una zona di shopping", ha spiegato. L'è inscì.

"È viva di giorno, ma di sera è spopolata, le zone di richiamo serale sono ormai altre a Milano, i giovani vanno in zona Isola, Bosco Verticale, a CityLife, o anche in zona Cinque Giornate dove gestiamo il cinema Colosseo. Fino a non molto tempo fa, Corso Vittorio Emanuele era una multisala a cielo aperto. Ora ci sono solo negozi", ha concluso Quilleri. Insomma, bisogna fare qualcosa. Noi, nel nostro piccolo, scegliere di godere di un film sul grande schermo piuttosto che - ancora una volta - in streaming. Al di là dell'azione dei cittadini, però, serve un ragionamento più ampio, che provi a immaginare un futuro diverso per il cinema. "Siamo l’unico Paese d’Europa che con il cinema nel 2021 ha fatto peggio che nel 2020. E l’unico Paese dove l’audiovisivo non si insegna a scuola", si è lamentato Domenico Di Noia, presidente dell’Agis lombardo.

"Dobbiamo rieducare il pubblico", ha confermato Tomaso Quilleri, segno che ripartire dalle scuole può essere sicuramente utile. E magari considerare i cinema non solo luoghi con uno schermo grande e audio potente, ma uno spazio di incontro, di creatività. Tipo l'Anteo, che ogni due per tre si inventa iniziative, proiezioni in lingua, anteprime e incontri con i registi. Tutte cose che su Netflix di certo non puoi trovare. Se da un lato l'Arlecchino è l'ennesimo cinema a chiudere, quelli che ancora sopravvivono non se la passano bene. "Ce la metteremo tutta per arrivare al 2023, ma francamente non so se riusciremo", ha confermato al Corriere Salvatore Dattilo, gestore del Plinius, sei sale e duemila posti.

"Per gli esercizi è durissimo il limite di non poter vendere cibo e bevande, toglie fino al 40 per cento del fatturato e una parte significativa dell’esperienza. C’è la deregulation sulle regole di uscita sulle piattaforme, l’obbligo di indossare le mascherine Ffp2 non aiuta la percezione di sicurezza e il rincaro delle utenze ha dato il colpo di grazia. Delle sale importa ancora a qualcuno?". Che dite, vogliamo rispondere?

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