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Che svolta! Le aziende dovranno chiarire lo stipendio già nell’annuncio di lavoro

Il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sulla trasparenza salariale che prevede l’obbligo per le aziende di informare già in fase di annuncio o di primo colloquio i dati sullo stipendio. I datori dovranno anche informare sull'eventuale gender pay gap (e nel caso prendere provvedimenti per cambiare le cose).

Good news dal mondo del lavoro. O da quello che potrebbe diventare in futuro: un posto più limpido ed egualitario. La scorsa settimana, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva sulla trasparenza salariale proposta dalla Commissione a marzo 2021 (figa alla buon’ora).  La svolta la troviamo per l’esattezza nell’articolo 5 del documento, che prevede l’obbligo per le aziende di “individuare il livello retributivo iniziale o la relativa fascia da corrispondere al lavoratore per una specifica posizione o mansione”. I dati sullo stipendio – attenzione attenzione – devono essere forniti già nell’annuncio di lavoro o al massimo durante il primo colloquio, “senza che sia il candidato a richiederlo”. Dai, onesti. Quante volte è capitato di andare ad un colloquio di lavoro senza che nessuno vi illuminasse sull’eventuale stipendio? O magari fossero loro a chiedere “quanto ti aspetti?”, giusto per metterci in difficoltà. Ecco, anche basta. Da domani non cambia comunque un cazzo. Adesso infatti manca ancora il via libera definitivo del Consiglio. Quando poi la direttiva entrerà in gazzetta ufficiale, i Paesi membri avranno tre anni di tempo per recepirla. Ce la faremo ad aggiornarci in tempo? Sperem. C’è da dire che nella minoranza che si è opposta alla direttiva c’erano anche sei italiani: Massimiliano Salini e Alessandra Mussolini (Forza Italia), Carlo Fidanza, Pietro Fiocchi, Chiara Maria Gemma e Denis Nesci (Fratelli d’Italia). Quindi insomma, non un bel segnale.

Ma la nuova direttiva europea offre altri spunti interessanti. Le aziende dovranno anche far capire in maniera easy ai lavoratori i criteri utilizzati per stabilire la loro paga, oltre ai vari livelli retributivi presenti in azienda. Per quanto riguarda le imprese con 50 o più dipendenti, ciò significa anche che dovrà essere indicata la “progressione economica”, cioè la possibilità di ricevere aumenti e promozioni (e a quanto ammonterebbero). I datori di lavoro, inoltre, dovranno rendere note ai dipendenti le info sul divario retributivo di genere all’interno dell’azienda e valutare di cambiare le cose se questo sarà troppo alto (oltre il 5%). Se dovesse succedere, non sono però previste multe o sanzioni, ma si delegano i singoli Stati ad istituire eventuali ammende “proporzionate e dissuasive”. Questa operazione purtroppo è più a lungo termine: le aziende con più di 150 dipendenti avranno quattro anni dall’entrata in vigore della direttiva per stendere il loro primo rapporto sul gender pay gap, quelle tra 100 e 150 dipendenti ne avranno otto e le aziende al di sotto dei 100 lavoratori se non vogliono potranno pure non farlo. Vabbè.

Altra novità interessante. Nei contenziosi legali, se un lavoratore ritiene che non sia stato applicato il principio di parità di retribuzione sarà l’azienda (e non più il dipendente) a dover dimostrare che non c’è stata alcuna discriminazione. Inoltre, l’articolo 5 vieta anche ai datori di lavoro di chiedere al candidato informazioni sulla grana che percepiva nei suoi impieghi precedenti. Gran cosa. Quello della trasparenza salariale è un tema piuttosto caldo, anche per l’importante impatto che ha sul gender pay gap. Lo scorso anno, Colorado e New York sono diventati i primi due stati americani a prevedere questo obbligo per le aziende. Stando a quanto riportato dal New York Times, presto anche California e Washington potrebbero unirsi all’andazzo. Speriamo che asap pure noi riusciremo ad evolverci, va’.

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