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Editorial
burghy

E niente, oggi ci è venuta nostalgia degli anni Ottanta e di quel tempio dei paninari che era il Burghy. Quando i membri della Gen X (i nati tra il 1965 e il 1980) erano giovani e belli, si arrotolavano i Levi's per mettere in mostra i Burlington, si stringevano nei Moncler ed esibivamo il giallo ocra delle Timberland come se non fosse il colore più equivoco del mondo. A quei tempi, 40 (e passa) anni fa, ci trovavamo fra San Babila e il Duomo e, quando avevamo fame, visto che il colesterolo pensavamo fosse benza per il Ciao, ci sparavamo una compilation di hamburger sotto la rassicurante insegna gialla e rossa di Burghy. 

A pensarci adesso, a quegli ex ragazzi (divisi equamente fra interisti e milanisti) mangiare sotto quella bandiera della Roma avrebbe dovuto provocare almeno qualche problema di digestione, eppure... Eppure gli pareva di mangiare in paradiso, confortati dalle pubblicità che guardavamo in tv con l'imbarazzante Willy Denti (l'inquietante mascotte della catena, raffigurante una bocca con denti giganteschi e un paio di gambe) e quel jingle che non ti usciva più dalla testa: "Più gusto di Burghy... nessuno, nessuno ti dàààà!". Era la rivincita sui matusa e sui loro bolliti mangiati al Matarel e alla Piola (dove peraltro oggi andiamo volentieri a ogni occasione possibile, perché grazie al dio dei golosi sono ancora lì) ed era il posto dove cuccare aveva il sapore dolce del ketchup sulle patatine. 

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Qualche tempo fa a Monza, qualcuno ci ha illuso che il sogno stesse tornando. Quel buontempone di Simone Ciaruffoli, patron di Burgez, durante i lavori per il nuovo negozio della sua catena, ha pensato bene di esibire una cartellonista copri-cantiere proprio con i colori di Burghy e la scritta "Sta tornando". E invece era una bufala, senza nemmeno i fratelli o la mozzarella. D'altronde, non è certo stato Ciaruffoli a rilevare l'italianissima catena di panini all'americana nata nel 1981 con il primo negozio aperto a San Babila da una catena di supermercati, la GS. Ricordate? Dopo quattro anni era riuscita ad aprire ristoranti in tutta Italia, addirittura 96, e fu rilevata dal Gruppo Cremonini: nello stesso anno aprì il primo McDonald's, a Bolzano. Da quel momento, la battaglia sui toni del giallo e del rosso andò avanti dieci anni, fino a quando a rilevare il fenomeno tutto italiano fu la multinazionale dello zio Ronald, nel 1996 appunto. Che non dimentica di ringraziare il predecessore: "Burghy segna l’inizio della storia di McDonald’s in Italia e sarà sempre parte di noi" si legge sul sito.

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Abbattuta la concorrenza, alla fine uno ad uno tutti i Burghy chiusero o si trasformarono in McDonald's. I Gen X già da tempo avevano smesso di vestire El Carro, Camperos e Best Company, e i Millennials avevano cominciato con Guru, Polo Ralph Lauren e Fornarina (quando non cedevano ai camiciotti grunge). Gli hamburger erano ormai un'abitudine e forse avevano anche stufato un po'. Nessuno era davvero consapevole di aver attraversato un mito che non avremmo mai dimenticato. D'altronde, di quel mito beneficiano tuttora i clienti di McDonald's in un sacco di paesi al mondo. Quando rilevò Burghy, infatti, il Mc scoprì che gli italiani andavano pazzi per il King Bacon e decise di sfruttare il business. Fu così che nacque il Crispy McBacon. Tutto il resto è storia.

Autrice: Daniela Faggion

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