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Editorial
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Less is more, ovvero "meno è meglio". La regola aurea dei designer minimalisti funziona anche per il mondo del lavoro. A metterlo nero su bianco è un recente esperimento che ha visto protagoniste 61 aziende inglesi e i loro 2.900 dipendenti che si sono offerti di testare per sei mesi gli effetti della settimana corta, quella che prevede di lavorare 4 giorni su 7. I risultati dell’esperimento hanno addirittura superato le aspettative degli organizzatori, tra cui 4 Day Week Global un’organizzazione no-profit che, insieme a ricercatori dell’Università di Cambridge e del Boston College, tira in mezzo le aziende e i Governi di mezzo mondo e gli spiega come beneficiare dei vantaggi della settimana corta testando il loro modello, il sistema 100-80-100: stessa retribuzione, stessi risultati ma usando solo l'80% del tempo. 

Insomma, delle 61 aziende che hanno partecipato al test, 56 hanno continuato con la settimana lavorativa di quattro giorni anche dopo la fine dell’esperimento, ma la cosa sorprendente è che 18 aziende hanno confermato che non torneranno più indietro! Immaginate la faccia dei dipendenti. Una faccia che dovete immaginare non solo incredula ma anche distesa, visto che tra i benefici della settimana breve c’è soprattutto la riduzione dello stress. Per la precisione il 71% dei dipendenti che accusava sintomi da burnout alla fine del progetto pilota ha dichiarato di avere meno ansia, meno problemi ad a dormire e più energia fisica e mentale. Ma soprattutto, l'esperimento ha dimostrato che quando si investe nel benessere delle persone, il fatturato aumenta. Ma vedi un po’!

Infatti, nonostante la riduzione delle ore lavorative, le aziende non solo hanno mantenuto i loro livelli di fatturato ma hanno registrato, mediamente, un aumento dell’1,4%. Ok, voi direte e grazie al cazz in quei sei mesi tutti si sono sbattuti il doppio per tenersi stretta la settimana corta, e le fatture volavano. Non è da escludere, tuttavia la cosa da tenere a mente è questa: il segno + sulle entrate è da accoppiare a meno ore lavorate, non a straordinari: il driver di crescita di quei sei mesi quindi è stato proprio il tempo che i dipendenti non dedicavano al lavoro e investivano invece nella vita famigliare. A proposito, degna di nota, è anche un’altra esternalità positiva della 4 days week, ovvero la diminuzione del gender gap. Il test infatti ha rilevato come durante la sperimentazione il tempo che gli uomini hanno trascorso a prendersi cura dei nanetti è aumentato più del doppio rispetto a quello delle donne (27% contro 13%). Ma quindi cosa aspettano le Università e i Centri di ricerca a testare questo modello anche in Italia?

Qualcosa in realtà si muove, tra i primi Intesa San Paolo dove settimana corta e smart working sono in prova da un anno, e poi Luxottica con 15 giorni liberi da spalmare in un anno oltre alle ferie, Lamborghini con un modello che prevede due settimane corte al mese, Lavazza con tutti i venerdì a mezza giornata e smart working fino a dieci giorni al mese. Insomma l’elenco delle aziende che sta decidendo di adottare il mind set della 4 day week cresce sempre di più. Tuttavia rimangono casi isolati e l’Italia, tra i Paesi europei con il Pil più elevato, è l’unico a non aver ancora messo a terra (ma delle proposte di legge sono state fatte) nessuna iniziativa legislativa per incentivare la sperimentazione della settimana di 4 giorni a parità di salario. Ma quindi che si dice in Europa?

Il primo della classe (a stare a casa il venerdì) è il Belgio, qui una legge entrata in vigore il 21 novembre 2023 permette ai dipendenti di decidere se lavorare quattro o cinque giorni alla settimana a parità di salario; in fase di test è invece la Scozia, con un progetto pilota da 10 milioni di sterline finanziato dal governo. Nella Spagna del primo ministro Sanchez la settimana corta è nel programma di Governo, che prevede finanziamenti alle imprese per aderire al modello. Stanno invece un passo avanti Danimarca, Norvegia, Germania, Irlanda e Svezia, qui infatti la la durata media del lavoro settimanale è già da anni inferiore alla media europea (che è di circa 36,5 ore settimanali). Ma c’è anche dove si lavora di più, insomma non trasferitevi per lavoro in Repubblica Ceca, Polonia, Bulgaria o Grecia perché qui si sforano le 40 ore settimanali.

Infine è utile riportare una nota contenuta nel denso studio sulla settimana corta in Europa realizzato dall’European Trade Union Institute il quale ammonisce che, nello sperimentare la 4 day week, il "ruolo della cultura non può essere sottovalutato”. Gli autori del report ci ricordano che senza il necessario cambiamento culturale in ambito lavorativo, in ottica di pari opportunità e crescita non (solamente) economica, la riduzione dell'orario rischia di non produrre alcun effetto significativo. L’augurio, per tutti gli esempi virtuosi di cambiamento, è quindi che la polvere (precariato, gender pay gap, part time involontario, aumento dei salari congelato) non venga nascosta sotto il tappetto della settimana corta ma, bensì, spazzata via.

 

Autore: Davide Frigoli

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