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Editorial
federicopessina

Quando la passione chiama, c'è poco da fare. Non so se è capitato anche a voi, ma ad una certa nella vita può succedere di ritrovarsi nel posto sbagliato, a vivere una vita che non ci appartiene. A quel punto, le cose sono due: rimanete dove state, frustrati, incaz*ati e in down perenne, oppure provate a svoltare verso la direzione che più vi entusiasma. Ha fatto questa seconda scelta Federico Pessina, oggi 25enne ma all'epoca del change appena 20enne. Una bella storia, la sua, che da Paderno Dugnano l'ha portato a dirigere un rifugio a Chiavenna, quota 2.040 metri, in Val di Spluga (Sondrio). Ci si arriva solo a piedi, da Fraciscio o da Madesimo, distanti circa un'ora e mezzo senza troppi sbatti. Federico ha vinto il bando del Cai per ottenerne la gestione, diventando così (all'epoca) il più giovane rifugista d'Italia. Ma come si passa da Paderno alla montagna, come si impara a gestire un luogo così complesso (e non raggiungibile in auto) così giovani, quanto si fattura con un rifugio?

Piano piano, che adesso tutte 'ste domande le facciamo al diretto interessato.

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Ma quindi tu di base sei di Paderno Dugnano. Com'è, ti piace come posto?

Si! Sono nato e cresciuto a Paderno. Sinceramente fin da piccolo non mi sono mai sentito al mio posto qui, ho sempre cercato modi diversi di passare il mio tempo libero rispetto ai miei coetanei che, solitamente, giocavano a calcio o basket. In un modo o dell’altro ero sempre in cerca dell’avventura girando in bici nei pochi boschi che si possono trovare in zona. Sono sempre stato abbastanza insofferente della vita in pianura che, pur essendo una normalissima vita di un ragazzo in età scolastica, mi faceva sentire come chiuso in gabbia. 

Com'è nata la tua passione per la montagna?

Alle elementari non andavo in montagna tutti i weekend come poi è successo successivamente, facevo quindi il count down per le vacanze estive che passavo Gressoney. Successivamente mi sono iscritto al Cai (Club Alpino Italiano) e, appena ho avuto un po' di autonomia, ho iniziato girare con altri appassionati di montagna. Da lì non mi sono più fermato, ho iniziato ad innamorarmi sempre di più delle montagne e cercavo di scapparci appena potevo, anche solo per un pomeriggio. In questo periodo ho iniziato a sognare di poter diventare guida alpina per poter passare il mio tempo in montagna trasmettendo la mia passione agli altri.

E invece l'idea di diventare rifugista è arrivata dopo, giusto? C'entra anche un incidente o sbaglio?

Quando frequentavo le superiori ero sempre in montagna così, dopo la maturità, ho voluto vivere veramente la montagna e non solo da frequentatore per camminate o arrampicate. Ho quindi lavorato per la prima volta in un rifugio, il Rifugio Gianetti in Valmasino, e da lì mi sono innamorato anche di questa parte della montagna. Vivendo in rifugio ho amato ogni minuto, stare immerso in quest’ambiente e stare in mezzo ad altre persone con le quali potevo condividere la stessa passione. L'unica cosa a cui non avevo pensato bene quando ho deciso di intraprendere quest’avventura, è che avevo un’anfiteatro di montagne stupende attorno a me pronte da arrampicare ma in quel momento ero li per lavorare; è stato un po’ faticoso, avevo i piedi che fremevano, ma in questo modo ho potuto imparare ad amare la montagna anche in modo lento ed in tutte le sue sfaccettature, non solo per raggiungere le cime o fare arrampicate. Il sogno però di diventare guida alpina mi continuava a girare in testa. 

Ho fatto però un incidente con gli sci l’inverno successivo. Niente di particolarmente grave, ho rotto crociato e rotula, ma è stata lunga la riabilitazione a causa di una forte infezione avvenuta in seguito alle operazioni che mi ha rallentato la ripresa e mi ha tenuto in stampelle un anno. Dopo la ripresa ho poi continuato a lavorare nei rifugi e mi sono appassionato sempre di più a questo lavoro. 

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Com'è che sei diventato gestore del rifugio Chiavenna?

Dopo qualche anno di esperienza nei rifugi ho visto l’annuncio del CAI Chiavenna di un rifugio ubicato in un posto stupendo a 2000 metri a 1,5 ore dal paese, l’Alpe Angeloga (Campodolcino, Valchiavenna), che sarebbe andato in gestione l’estate successiva. Ho così partecipato al bando, sinceramente senza troppe speranze in quanto lo vedevo come un sogno difficilmente realizzabile ma che, fortunatamente, si è realizzato.

Fino a quando gestirai il rifugio, e cosa succederà dopo?

Per il momento il contratto che ho con il CAI è di 3 anni con tacito rinnovo per altri 3 anni. Spero poi di poter continuare ben oltre questa prima esperienza e di farne il lavoro della mia vita. Sono felice della scelta e mi ringrazio ogni giorno per essermi lanciato in quest’avventura.

Gestire un rifugio non è proprio una passeggiata. Ci racconti la tua giornata tipo?

All’inizio della stagione quando sul Pizzo Stella, la montagna principale della zona, c’è ancora neve e quindi i canali di sono in condizioni per essere percorsi dagli alpinisti, la prima colazione inizia alle 3 (WTF, ndr) in modo che possano percorrere la salita quando i canali sono ancora ghiacciati e quindi con più sicurezza. Mano a mano che la stagione avanza e la neve si scioglie la sveglia è intorno alle 6.30. Iniziamo sempre con le colazioni di chi pernotta al rifugio, passiamo poi alla nostra colazione durante la quale organizziamo i compiti della giornata. Si passa quindi alla sistemazione e pulizia generale delle camere, del rifugio e della sala da pranzo, nel frattempo chi sta in cucina prepara per il pranzo. Continuiamo intanto con le colazioni di chi passa in giornata dal rifugio e fa tappa prima di ripartire a camminare. Si passa così al servizio del pranzo, alle merende e poi alla cena. Sopratutto quando siamo in piena stagione è un lavoro no stop

In settimana spesso mi capita di dover scendere per organizzare i rifornimenti in quanto tutto ciò che si trova in rifugio mi arriva grazie ai fornitori in paese, recupero tutto, peso, metto in sacchi da 800kg l’uno ed il tutto viene portato al rifugio dall’elicottero. Diciamo quindi che tra lavoro in rifugio, i rifornimenti e la sistemazione di guasti che spesso capitano e che sono difficili da sistemare in quanto i tecnici non arrivano fino a su, il lavoro è bello intenso, fortunatamente però ho famiglia e amici che son pronti a sostenermi in ogni momento.

Cosa ti piace di più del tuo lavoro, e cosa di meno?

Le cose più belle sono sicuramente il vivere immersi nella natura, poterla osservare da vicino, vedere gli animali selvatici che ci vivono attorno, il passare delle stagioni; qui ci si sente veramente un tutt’uno con la montagna e mi sento in pace. Altra cosa stupenda è il poter condividere la passione per la montagna e creare legami con i frequentatori del rifugio e le persone del paese che passano le vacanze nelle vicine baite. 

Quello che mi piace meno del lavoro è sicuramente il non riuscire sempre a far passare agli avventori la passione e la cultura della montagna ed il vedere sempre di più una frequentazione superficiale, mordi e fuggi che, a parer mio, poco ha a che fare con l’ambiente circostante. 

Ma, onestamente: con questo lavoro si fattura abbastanza?

I costi di gestione di un rifugio sono molto alti in quanto oltre ai costi normali (affitto, utenze, materie prime, dipendenti, ecc…) si ha anche il costo dei rifornimenti in elicottero che incidono moltissimo, se però il bel tempo aiuta e si lavora sodo si riesce a finire bene la stagione.

Il rifugio è aperto da maggio a ottobre, e il resto dell'anno che fai?

Bella domanda! Gli ultimi due anni sono rimasto in pausa, le ore lavorative estive bastano e avanzano anche per l'inverno. Nei prossimi anni mi piacerebbe continuare a stare in montagna anche in inverno lavorando nello stesso ambito…si vedrà. Nel frattempo mi godo anche io la montagna da appassionato con gli amici e il cane.

Che rapporto hai con Milano? Come la vede un "rifugista", questa città?

Milano l’ho vissuta molto poco se non per una piccola esperienza universitaria al Politecnico che però non mi è andata giù….troppo frenetica, non è il mio ambiente. Trovo però che negli ultimi anni abbia veramente fatto passi avanti ed è una città da ammirare per la visione che ha sul futuro e per le mille opportunità che offre. Credo che serva però portarla ad una misura un po’ più concreta e più a misura di cittadino medio, più umana, altrimenti temo si rischi solo di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato e di lasciare indietro qualcuno.

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