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Milano? No, grazie. Il 20% dei candidati junior si rifiuta di lavorare nella City

Clutch ha scoperto che a molti membri della Gen Z non interessa lavorare a Milano, anche nel caso in cui l'azienda proponga due giorni di smart working

Ma come? Milano non era la capitale del lavoro, fatturato, office, grandi opportunità, carriera… che sta succedendo? Cioè, davvero non ci aspettavamo di scoprire che la Gen Z non sente tutta questa attrattiva nei confronti della City, anzi. I più giovani (ma non solo, a quanto pare) preferiscono abbandonare Milano, oppure la escludono a priori tra le opzioni dei luoghi migliori in cui trasferirsi per lavorare. Le ragioni vabbè, sono le solite e queste in effetti non ci stupiscono: affitti sempre meno sostenibili, tassi ai massimi storici, aumento dell’inflazione che si ripercuote su prezzi sempre più inaccessibili.

The same, old story.

Però, che addirittura fosse respingente dal punto di vista lavorativo…

La situa è stata analizzata dalla startup Clutch, che ha riscontrato come il 20% dei profili junior rifiuti le offerte di aziende con base a Milano, anche nel caso in cui vengano proposti due giorni di smart working. What???

Ma di dati possiamo snocciolarne altri, tanto per argomentare. Secondo i risultati dell’analisi di Adesso!, movimento fondato da Tomaso Greco per dar voce ai giovani lavoratori, che ha elaborato le risposte di oltre 600mila milanesi tra i 20 e i 40 anni, solo il 17% riesce a risparmiare almeno 200 euro al mese, mentre il 62% spende per vivere più di quanto guadagna. E questo dovrebbe certamente spiegare abbastanza bene perché lavorare a MilanoMilano non sia poi così desiderabile. Chessò, magari meglio un’aziendina a Rho, bo, così si prende casa in zona e si risparmia.

Stando poi a quanto rilevato dall’indagine “Milano, quanto mi costi”, stilata dalla Cisl nel 2024, il 37% degli intervistati lamenta l’arresto della crescita delle retribuzioni, ferme ormai da anni, rendendo difficile stare al passo con il carovita e con le nuove esigenze della società. Eccolo qui, un altro motivo. Mentre il 23,8% sostiene di non riuscire più a far fronte al crescente prezzo di mutui e affitti delle abitazioni, affermando di vedersi costretti a valutare l’abbandono della città. Peso.

Addirittura, dall’analisi di Clutch è emerso che quel 20% dei giovani professionisti pronti ad andarsene da Milano, sarebbero disposti a lavorare a nella City quasi esclusivamente se l’azienda consentisse lo smart working totale, senza il vincolo del trasferimento. Cioè, di fatto il problema non è LAVORARE a Milano, ma VIVERE a Milano. “Davanti a questo allarmante scenario, le aziende milanesi dovranno necessariamente mettersi in discussione per scongiurare il concreto rischio di scontrarsi con una mancanza crescente di risorse – ha commentato Federica Riviello, Founding Partner di Clutch – Tra le azioni concrete che le aziende possono intraprendere, oltre alla concessione di un ‘vero’ smart working, c’è quella di considerare uffici ‘diffusi’, ovvero delocalizzati e situati in altre città magari prossime a poli universitari fucine di talenti. Come anche poter fornire ai dipendenti benefici aggiuntivi, programmi di mobilità, piani di welfare ad hoc, relocation bonus, in grado di incoraggiare l’idea di un trasferimento e far sentire il dipendente supportato a lungo termine.”

Chiaro, no?

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