Era un tranquillo venerdì sera, di quelli in cui nessuno sa cosa fare. Poi arriva il genio del gruppo: "Oh, ma lo sapete che c’è? Proviamo il padel, che fa figo". Risate generali, poi curiosità, e prima che ve ne accorgiate avete in mano una racchetta, già sudati prima ancora di cominciare. È così che inizia. Ma la discesa è rapida e senza freni: un giorno siete lì a prenotare un campo per gioco, quattro anni dopo state schiacciando palline a mezzanotte in un campo disperso nella nebbia, con tre sconosciuti che sembrano usciti da un rehab per padelisti.
Vi dicevano: "È uno sport rilassante, divertente, social!" Ma la verità è che è una droga: racchette all’ultimo grido, outfit così tecnici che potreste scalare l’Everest, e quel maledetto suono della pallina contro il vetro che ormai sentite anche nei sogni. La pandemia non ha aiutato, anzi: ha trasformato il padel da passatempo a ossessione collettiva.
Il profilo del padelista medio? Gente normale, eh, avvocati, imprenditrici, impiegati, tutti ossessionati dalla bandeja e dal globo—due colpi fondamentali per fare i fenomeni su Playtomic, l’app che ti serve per prenotare campi e sfidare chiunque metta in gioco il suo preziosissimo punteggio. Milano, tra l’altro, è diventata la Mecca del padel: nel 2017 c’erano solo 4 campi, oggi ce ne sono 472 in provincia. Sì, avete letto bene.
E poi ci sono loro, i top player: Arturo Coello e Agus Tapia, un po’ Messi e Ronaldo della racchetta, imbattuti da 40 partite.
Per ora, l’Italia domina tra i lovers: un milione e mezzo di "malati", 40% donne. La Lombardia è l’epicentro, con 1.283 campi, +48% in un anno. Anche Zlatan Ibrahimovic si è buttato nel giro, con il suo Padel Zenter a Segrate. I campi spuntano ovunque come funghi ad agosto, pure al posto di vecchie fabbriche. E non parliamo del cash: un campo incassa 40 euro l’ora e alle 19 è già prenotato da mesi. Risultato? I vecchi campi da calcio e tennis sono spariti, sostituiti da reticolati blu e verdi dove il popolo del padel suda e bestemmia.
Certo, non è tutto rose e fiori: i campi vanno coperti, il riscaldamento costa, e a Milano non si gioca mica sotto il sole della Sicilia, eh. Però il business tira. E quando tira troppo, spuntano pure le storie losche: come quella di Marco Molluso, nipote di un boss della ‘ndrangheta, condannato per aver riciclato soldi costruendo 8 campi da padel con fatture farlocche.
Ma questa, amici, è un’altra partita.
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