
Ecco, la situazione è questa: ti prendi bene, firmi il contratto, ti carichi a molla per iniziare il nuovo lavoro e... dopo 24 ore hai già voglia di mollare tutto e tornartene a casa. Succede a ben 7 neoassunti su 10 in Italia, mica pochi. A dirlo è un sondaggio della società di ricerca e selezione di personale Michael Page, che ci mostra uno scenario da film horror per chi cambia lavoro.
Se vi sembra un numero assurdo, sappiate che la media europea si ferma al 46%. Quindi sì, la nostra situazione è ben peggiore. Ma perché la gente fugge ancora prima di capire dove sta la macchinetta del caffè?
Onboarding fatto coi piedi: ecco cosa succede
La parola magica (o meglio, maledetta) è onboarding. E non è un termine figo per dire che la tua azienda sa accoglierti a braccia aperte, ma proprio il contrario. L’onboarding è quel processo che dovrebbe permetterti di capire come funziona l’azienda, cosa devi fare, con chi devi parlare e soprattutto dove stanno i bagni e il bar più vicino per sopravvivere alla pausa pranzo.
Secondo i dati di Michael Page, solo il 26% dei nuovi assunti si sente davvero supportato in questa fase delicata. Il resto? Lasciato a morire nel deserto dell’ufficio. E qui casca l’asino, perché se uno appena entrato non viene seguito, è chiaro che alla prima difficoltà scatta la voglia di scappare a gambe levate.
I motivi del disastro: ecco cosa manca davvero
Ma vediamo nel dettaglio quali sono le cause principali che spingono i neoassunti a voler abbandonare il lavoro il giorno dopo:
Nessun benvenuto organizzato (76%): altro che tappeto rosso, qua si entra e sembra di disturbare. Un sorriso e un minimo di presentazione? Magari, manco l’ombra;
Nessuna comunicazione su cosa fare e come farlo (43%): il giorno prima hai firmato il contratto e il giorno dopo sei lì a chiederti se qualcuno si ricorda che esisti;
Supporto zero durante il periodo iniziale (22%): devi arrangiarti come puoi, cercando di capire come funziona il sistema operativo senza che nessuno ti spieghi manco dove accendere il pc;
Pranzo in solitaria (16%): che ci vuole a organizzare un pranzo di benvenuto? Macché, invece finisci a mangiare un tramezzino raffermo da solo alla scrivania.
Perché un buon onboarding è fondamentale (e come le aziende lo sbagliano alla grande).
L’onboarding dovrebbe essere un percorso studiato per fare sentire il nuovo dipendente accolto e guidato. Sembra facile, vero? Eppure, per la maggior parte delle aziende italiane è ancora roba fantascientifica. E non parliamo solo di sapere dove stanno la stampante o il bagno. L’onboarding è soprattutto un modo per trasmettere la cultura aziendale, far capire quali sono gli obiettivi e come raggiungerli. E se uno viene lasciato a vagare come un’anima persa il primo giorno, diventa complicato, eh.
Il risultato è che un neoassunto su tre non consiglierebbe mai la propria azienda a nessuno. Praticamente come dire "Scappa finché sei in tempo". Le aziende devono capire che l’onboarding non è un lusso, ma un processo essenziale. Investire nel benvenuto dei nuovi assunti significa assicurarsi che si ambientino bene, siano motivati e abbiano voglia di restare. Altrimenti è come tirare l’acqua con un secchio bucato.
E voi, avete mai mollato un lavoro per un onboarding da schifo? Raccontatecelo, perché qui l’impressione è che il problema sia più diffuso di quanto si pensi.
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