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Rubare i reperti di Pompei porta sfiga. 

Così, dopo la maledizione di Tutankhamon e Montezuma, un altro sito archeologico si aggiunge alla lista. Turisti incivili e archeologi imprudenti prestate attenzione: le rovine di Pompei sono più vendicative di Equitalia. 

Da un po’ di anni a questa parte, infatti, si stanno intensificando le restituzioni di reperti trafugati. Un fenomeno probabilmente incoraggiato dalla credenza popolare secondo cui l’appropriazione indebita dei reperti del sito campano condannerebbe a una sfiga inenarrabile. 

L’ultimo episodio è di alcuni giorni fa e riguarda un furto del 2005. 

Una busta, priva di intestazione ma con francobollo canadese, è stata infatti consegnata ai carabinieri. Al suo interno cinque piccoli reperti trafugati e due lettere, entrambe scritte in inglese, in cui si racconta del furto e di come quei reperti avessero portato grande sfortuna nelle vite dei mittenti. Da lì la decisione di restituirli. 

Due lettere per due storie diverse, ma simili in maniera inquietante. 

La prima è quella di Nicole. Ai tempi aveva appena compiuto vent’anni e, davanti alla magnificenza dello scavo archeologico, non aveva resistito alla tentazione di trafugare alcuni pregiatissimi souvenir (leggere: rubare). 

Da lì la vita di Nicole cambia drasticamente e, a suo dire, tutto per colpa di quei frammenti dalla grande energia negativa: due tumori al seno a soli 36 anni, una mastectomia e dei serissimi problemi finanziari. 

Nella sua lettera si dice mortificata e di voler chiedere “il perdono degli dei”: “Siamo brave persone e non voglio passare questa maledizione alla mia famiglia o ai miei bambini”. 

Nell’altra lettera, invece, la storia di Alistair e Kimberly, marito e moglie, anche loro cittadini canadesi. 

Nella missiva si scusano per l’accaduto e ammettono di aver sottratto i reperti “senza pensare al dolore e alla sofferenza che queste povere anime hanno provato durate l’eruzione del Vesuvio. Siamo dispiaciuti e per piacere perdonateci per aver fatto questa terribile scelta”.

Il fenomeno però non è nuovo. Cominciato negli anni ’50 e ’60 e proseguito fino ai giorni nostri, ha raggiunto proporzioni tali da spingere alla creazione di un’area del sito archeologico interamente dedicata ai reperti restituiti. Tempo fa nacque addirittura una mostra dal titolo Quello che mi porto via da Pompei

Tra le varie, si ricorda la storia di un turista spagnolo che si era impossessato di un pezzo di intonaco decorato, salvo poi restituirlo in quanto “foriero di disavventure e disgrazie familiari”, o della signora inglese che restituì nel 2015 un pezzo di mosaico rubato negli anni ’70 dai suoi genitori. Restituzione accompagnata da un bigliettino con scritto: “Mi ha portato solo disgrazie”. 

Cari Imbruttiti, siete liberi di crederci o di bollare questa storia come l’ennesima giargianata per superstiziosi. Io però, nel dubbio, a Pompei non rubo neanche le saponette dell’albergo, poi fate voi… 

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