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Editorial
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Figa, Roberto Baggio… 

Devo la mia ossessione per il mondo del calcio a mio padre. Ricordo che a cena, da bambino, lo tempestavo di domande su chi, secondo lui, fosse stato il più grande di sempre in base al ruolo, all’epoca e alla nazionalità. Il più classico dei nani rompicoglioni.

Ricordo come fosse ieri la sera in cui gli chiesi quale fosse stato il più grande calciatore italiano di sempre. Lui si fermò, diede un ultimo tiro all’immancabile sigaretta, e poi con la stessa semplicità con cui si dicono le cose scontate emise la sua sentenza irrevocabile: “Baggio è stato il nostro Maradona”. 

Quando ho saputo che Netflix aveva girato un film sulla storia del calciatore italiano più amato di sempre, mi sono venuti i brividi lungo la schiena. Quell’istintivo senso di diffidenza che si è soliti provare davanti ad alcuni degli avvenimenti più spartiacque della storia: la reunion delle Spice, il ritorno di Sarabanda in prima serata e la nuova versione del Winner Taco.  

Un misto di esaltazione e timore. Da un lato la comprensibile voglia di rivivere, anche solo per qualche ora, alcuni dei momenti sportivi più belli e dolorosi della mia infanzia, dall’altra il timore di essere davanti all’ennesimo azzardo cinematografico. 

Come lo spieghi Roberto Baggio a chi non ha avuto la fortuna di viverlo in prima persona? Come puoi raccontare le gesta di un atleta capace di trascendere dal semplice ruolo di calciatore professionista, arrivando a diventare un mix tra un’icona di stile anni 90’, un supereroe della Marvel e una manifestazione terrena del divino? 

Così, armato della mia consueta poca fiducia negli esseri umani, ho messo il film in tv con il timore che da lì a poco avrei finito per rimpiangere Sharknado 6

Mi sbagliavo. Dopo circa un’ora e venti passata a gioire e a disperarmi per partite di cui sapevo già il risultato, ho spento la tv più emozionato di quando ho visto i Ricchi e Poveri a Sanremo.

Questo non vuol dire che sia un film privo di difetti, anzi. 

Dalla conversione al buddismo trattata con la stessa profondità di un’iscrizione ad Herbalife, passando per un Carlo Mazzone in versione Mario Brega in vacanze di Natale ’83 (il macellaio coatto), fino ad arrivare ai goal ricostruiti con le comparse che danno sempre un po’ quel retrogusto alla Alex l’Ariete, sono diversi i momenti in cui il film non si mostra all’altezza.  

Eppure… 

Eppure, se siete nati a cavallo tra gli anni '80 e '90 e amate sguazzare nei ricordi con una dedizione ai limiti del masochismo, questo film non può che fare al caso vostro. 

Se pensate che il calcio non sia più quello di una volta, se ascoltando Cesare Cremonini cantate “Ah da quando Baggio non gioca più” sempre un po’ più forte, e se vi commuovete al solo pensiero dei vari Jason, Maicol e Kevin per i quali il codino era diventato un must estetico imprescindibile a cavallo tra i '90 e i 2000, questo film vi porterà in un tunnel nostalgico degno del miglior Paolo Sorrentino. 

Ciliegina sulla torta? La canzone scritta per l’occasione da Diodato, “L’uomo dietro il campione”. La leggenda narra che ascoltandola per intero al contrario si venga catapultati in una dimensione parallela in cui il Sega Mega Drive è la consolle del momento, gli Oasis non si sono mai lasciati e voi vi siete sposati con la vostra ragazza del liceo. 

Vabbè, le solite giargianate per creduloni. Scusate devo scappare, mi sta suonando il cercapersone. Ho appuntamento con degli amici per rivedere la finale di USA '94. Sapete, in questa realtà parallela Baggio non si è mai infortunato in carriera. Infatti, nel '94 in finale contro il Brasile segna una doppietta e ai rigori manco ci andiamo… 

Figa, Roberto Baggio.

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