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Editorial
facebook

No, ma seriamente, ha ancora senso stare su Facebook?

Non ci siamo un po' tutti scartavetrati le parti basse del social network che da circa quindici anni ci tiene incollati a degli schermi sempre più piccoli e interattivi? Non siamo stufi di sorbirci valangate di pubblicità, di discussioni inutili e dannose con sconosciuti oppure di guardare i post del compagno delle elementari, diventato tuttologo dopo essersi laureato all'università della vita? 

Ok ok, le nostre domande sono volutamente provocatorie. Se state leggendo questo pezzo è altamente probabile che durante le vostre scrollate del feed sia venuto fuori un post dell'Imbruttito, vi abbia catturato il titolo e abbiate fatto clic. Quindi sì, stiamo sputando nel piatto in cui mangiamo da anni, ma è giunto il momento di fare qualche riflessione da utenti medi della prima creatura di Mark Zuckerberg.

C'è stato un periodo d'oro in cui Facebook era veramente il diario della nostra vita. Ne postavamo di ogni e sapevamo tutto di tutti, anche come se la passavano gli amici più lontani. Quando poi ci si ritrovava live era un piacere commentare e approfondire avvenimenti delle vite di ciascuno che già conoscevamo dalle sbirciate dei profili altrui. 

Le pagine come la nostra fiorivano in una primavera creativa alla ricerca dell'idea più originale, del meme che faceva più ridere, del post più a effetto. Un mi piace valeva oro, soprattutto in termini emotivi. La vita però ci insegna che non ci sono mai pasti gratis, dura minga...

Quando un botto di gente è stata buttata dentro alla community più grande del mondo occidentale - a un certo punto sono spuntati pure i profili senior di zii, nonni, per non parlare di quelli di cani e gatti -  dalle parti della Silicon Valley hanno capito che era giunto il momento di tirar su paccate di dollari.

All'inizio non ce ne siamo nemmeno accorti,  gli algoritmi di intelligenza artificiale hanno iniziato a seguirci, studiarci e profilarci. In poche parole, a farsi i cazzi nostri per venderci cose.

Leggiamo una notizia sulla crescita del PIL e veniamo sommersi di sponsorizzate dove ci garantiscono che diventeremo ricchi in tempo zero. Quando gli inserzionisti non ci vogliono zanzare direttamente del cash (o l'equivalente in criptovalute) fantomatici esperti, mai sentiti prima, ci promettono l'indipendenza finanziaria in cambio dell'investimento di qualche K in corsi assurdi. Primo webinar gratis, il resto è fatturato (loro, per il nostro poi si vedrà)!

Se poi ci vogliamo rilassare sbirciando qualche profilo vip del gentil sesso, state pur certi che il fantomatico algoritmo ci farà arrivare tette e culi come se piovesse. Un viaggetto? Suggerimenti sponsorizzati a nastro su location, ristoranti e biglietti aerei. 

Insomma, ormai lo sanno anche i muri, Facebook cerca sempre di accontentarci con quello che (loro pensano) vorremmo vedere in quel preciso istante. 

In realtà questa cosa è vera sino a un certo punto. C'è chi (come il sottoscritto) crede di avere una vita poco social e che il cervellone elettronico non abbia ancora capito un kaiser di come arrivare dalle parti del portafoglio. Altri invece sono presi malissimo e vanno in sbatti pensando di essere osservati da un esercito di spie in carne e ossa. Costoro, invece di fare un bel logout e cancellarsi per sempre, postano frasi indignate e trucchi per fregare il sistema, proprio rimanendoci dentro per ore e ore ogni giorno. Coerenza, questa sconosciuta.

Già, perché Facebook ormai è diventato un bene irrinunciabile, un presidio (privato) di democrazia e giustizia, l'unico luogo dove la libertà di pensiero e parola è ancora praticabile. Figa, non diciamo giargianate...

Basta leggere i commenti sotto a qualsiasi notizia e si capisce che il disagiometro è arrivato al punto di non ritorno dello sclero. Un esempio di attualità a caso: sotto ai post che parlano di Covid, di vaccini e di Green Pass si scatena una rissa di commenti da bestiario dell'umanità, tra opposti estremismi. Per fortuna là fuori, nel mondo reale, di queste discussioni non troverete grosse tracce. Dicesi leonite da tastiera. 

Quindi a cosa ci serve Facebook? A incazzarci con il primo pirla che scrive a ruota libera di gomblotti vari, alzando sempre più i toni sino alle minacce di querela? In tribunale si farebbero grosse risate, forse la cosa potrebbe al limite valerci una comparsata a Forum. Il giudice Santi Licheri si rivolterà nella tomba, almeno lui si occupava di cause serie.

Non provate neppure a segnalare a Facebook una qualsiasi nefandezza in cui vi siete imbattuti. Il loro cervellone cancellerà più facilmente i porca puttena rispetto alle puttanate vere e proprie, postate da migliaia di troll e analfabeti di ritorno. Loro godono nel vedere schizzare le interazioni su argomenti divisivi, contenuti di qualità inversamente proporzionali al QI dell'utente che posta fomentato commenti chilometrici sul Nuovo Ordine Mondiale sbagliando tutte le h. Sapevatelo. 

Pure i suggerimenti di amicizia non è che funzionino più tanto bene. C'erano una volta i bei tempi in cui prima ti consigliavano persone che realmente potevi conoscere, poi un network di gente con cui potevi condividere una passione, una rete di amicizie o di fatturato. Al limite arrivavamo a chiedere l'amicizia alle persone che condividono il nostro stesso cognome. Da quando gli interessi di Zuckerberg hanno iniziato a divergere dai nostri ci vengono invece suggeriti personaggi a noi completamente sconosciuti con la foto profilo modello serial killer, gente che paga per essere seguita, influencer wannabe e profili fake. Un bel cocktail micidiale di sbatti e perdite di tempo.

E qui arriviamo al punto cruciale del ragionamento. Perchè dobbiamo utilizzare il nostro tempo (estremamente scarso) per farci il fegato amaro su una piattaforma che è sempre più distante dalle nostre esigenze di socialità? E, soprattutto, cosa ci viene in tasca dal postare gratis contenuti e dallo scrivere commenti di discreta qualità (almeno rispetto alla media) in una valle di lacrime?

Per dare una risposta a queste domande il gratis forse non basta più. Facebook dovrebbe pensare a una fee per chi fa salire il livello dei contenuti pubblicati. Per tutti coloro che, da un profilo con un'identità reale e verificata, si impegnano a scrivere cose sensate per potenziare culturalmente la community.

Caro Mark se vuoi continuare a fatturare come un caimano, prepara il contrattino!

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