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Massima spesa, minima resa. Si potrebbe riassumere così, in soldoni, l'approccio degli italiani al lavoro. Oh, almeno, questo è il pensiero del sociologo Domenico De Masi, che ai microfoni della trasmissione Società anno zero (Radio Cusano Campus) ha offerto interessanti spunti di riflessioni mettendo a confronto il nostro modello lavorativo e quello tedesco. Prima di tutto De Masi ha parlato del fenomeno delle Grandi Dimissioni, che post pandemia ha portato molti italiani a mollare il lavoro in cerca di un maggiore equilibrio tra job e vita privata. Per il sociologo il trend è "destinato a continuare e a crescere sempre più. È sempre maggiore la percentuale di persone che, pur prendendo atto del fatto che il lavoro sia importante, sanno che non è tutto, anche dal punto di vista quantitativo: il lavoro è fondamentale ma non tanto da dover assorbire tutto il resto della vita". Questa, per noi italiani, è una novità. Perché? Perché stando all'opinione dell'esperto, il nostro approccio al lavoro è piuttosto demenziale.

"Questo va ricordato soprattutto in Italia, perché i paesi latini e cattolici, come Italia, Spagna e Portogallo, hanno un approccio veramente demenziale verso il lavoro", ha spiegato brutalmente. Per De Masi insomma lavoriamo tantissimo, sempre bramosi di un aumento di stipendio e di promozioni. E mentre ci sbattiamo per spremere qualche euro in più, i nostri colleghi tedeschi, che siano presidenti di un'azienda o uscieri, alle 17 suo fuori dall’ufficio. "Da noi invece soprattutto i manager e i quadri restano al lavoro per altre 2 o 3 ore non retribuite magari nella speranza di avere una promozione o un aumento di stipendio. E intanto così tolgono lavoro ai giovani, visto che almeno 350mila posti di lavoro vengono assorbiti da queste persone che restano oltre l’orario di lavoro, senza peraltro avere una retribuzione superiore. Quindi, considerano la propria prestazione come un qualcosa che non vale nulla". Eh, mica ha tutti i torti...

Noi italiani siamo abituati a lavorare di più, senza nessun motivo. Nessuno ci paga gli straordinari, ma noi ci teniamo a far vedere che siamo stakanovisti. Oppure, sappiamo che un'uscita troppo puntuale dall'office verrebbe vista negativamente. Ma si può? "Da noi, insomma, c’è un overtime che non si spiega in nessun modo, perché è un regalo che viene fatto ai datori di lavoro i quali a loro volta considerano questo comportamento quasi come una regola e un loro diritto". Gli amici tedeschi invece se ne escono belli belli alle 17, e si possono così dedicare a sport, famiglia, amici, cazzeggio, riposo. La cosa curiosa è che... oltre il danno, la beffa! Sì perché "noi non abbiamo la produttività tedesca che è il 20% superiore alla nostra, nonostante in Germania si lavori il 20% in meno".

Se siete già pronti a puntare il dito contro la nostra politica, fermi. Per De Masi la questione è un'altra. "Non è il decisore politico a dover orientare i comportamenti dei lavoratori, ma la famiglia, la scuola e i media. Non possiamo scaricare su 600 persone la colpa di milioni di lavoratori che si negano la famiglia, gli amici e anche se stessi, perché passare in ufficio centinaia di ore in più all’anno significa trascurare il cinema, il teatro, la letteratura, la crescita personale, l’auto-formazione, gli amori, gli affetti. Insomma, praticamente una vita sconquassata dalla mania di restare in ufficio. È una follia totale". Altro argomento in cui il sociologo non le manda a dire riguarda i giovani, a detta dell'esperto "di una pigrizia politica inaudita. Molti di loro non vanno neppure a votare. In altre epoche i giovani hanno lottato enormemente per il riconoscimento dei loro diritti, oggi le lotte giovanili sono pressocché inesistenti. Gli studenti non lottano assolutamente per i loro diritti e di conseguenza i governi si disinteressano di loro. E infatti in Italia il 23% dei giovani, dopo aver studiato, resta disoccupato. Ci vuole una spinta che parta direttamente dai giovani che devono chiedere alla politica che si interessi di loro".

Di nuovo, il confronto con la Germania è impietoso. "In Germania man mano che si sono accavallate le ondate del progresso tecnologico, parallelamente è stato ridotto l’orario del lavoro. Attualmente si lavora 32 ore alla settimana e 28 ore per i metalmeccanici. In media un tedesco lavora 1400 ore all’anno, noi invece siamo rimasti a 40 ore settimanali, quindi 1800 ore all’anno, cioè 400 ore in più rispetto a quelle lavorate in Germania. Il 79% della popolazione tedesca attiva ha un lavoro, da noi solo il 60% in qualche modo può contare su un lavoro, che molto spesso è precario. Il problema, insomma, riguarda il modo in cui si organizza la società: o si tiene conto dei progressi tecnologici e organizzativi oppure si finge di nulla, così ricchi diventano sempre più ricchi, gli occupati lavorano sempre più e i poveri diventano sempre più poveri". Severo ma giusto. Cosa ne pensate Imbuttiti?

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