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Editorial
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La pandemia ha originato (tra le tante cose) anche un fenomeno emblematico del mutamento del rapporto fra lavoro e felicità: le Grandi dimissioni. La tragicità degli anni appena trascorsi, lo smart working e la reclusione a casa, hanno in molti casi ribaltato le nostre priorità, portando tante persone a voler mollare un lavoro che non li rendeva più felici e che non gli lasciava tempo per godersi il tempo libero. In tanti poi, non appena è arrivato il momento di sostituire il lavoro da casa e tornare in office, hanno preferito licenziarsi. Talvolta, senza nemmeno un piano B. Adesso, a distanza di tempo, è ancora così? Risposta: nì.

Ok, risposta del cazzo. Ora spieghiamo. L'ondata di insoddisfazione e di rinnovata ambizione che ha portato molte persone a dimettersi non si è ancora esaurita, almeno in Italia. Secondo una ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice, nell’ultimo anno il 46% dei lavoratori ha cambiato job, percentuale che sale al 77% per gli under 27. Questo anche se - va detto - il 41% di chi ha mollato poi si è pentito. Secondo un altro sondaggio sulla situazione del mercato del lavoro diffuso da Joblist, un lavoratore su quattro (quindi il 26%) che ha lasciato il posto di lavoro afferma di aver fatto una cazzata. Sì perché magari la scelta è stata fatta spinti da un'onda emotiva, dalla convinzione che cambiare avrebbe migliorato la vita ma in alcuni casi non è stato così. Comunque c'è da dire che le motivazioni principali sono assolutamente valide: prima di tutto, la ricerca di maggiori benefit e la flessibilità. Un dato però è chiaro, non siamo affatto contenti del nostro lavoro. I dati ci dicono che solo il 7% dei lavoratori si sente soddisfatto, e solo l’11% sta bene su tutte e tre le dimensioni del benessere lavorativo: psicologica, relazionale e fisica.

"La pandemia ha fatto crescere in molti un senso di precarietà e individualismo che porta a non vedere più il lavoro come unica o principale priorità, ma a rivendicare il diritto di avere tempo e spazio per poter vivere tutte le altre sfaccettature della vita - ha spiegato Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. Le evidenze della ricerca suggeriscono come sia necessario partire dall’ascolto e dalla presa d’atto che alla base della crisi attuale ci sia innanzitutto una sempre più pressante ricerca da parte delle persone di equilibrio e felicità attraverso il lavoro. Un totale cambiamento di mentalità che sfida la cultura tradizionale". Le Grandi Dimissioni, tuttavia, potrebbero aver esaurito la loro spinta.

"Ormai riguarda il passato" ha dichiarato Nela Richardson, capo economista dell'ADP, come riportato da CNBC. Nel 2023 sempre meno persone stanno decidendo di lasciare il lavoro: a marzo il numero di licenziamenti è sceso a circa 3,9 milioni, il livello più basso da maggio 2021. Sono numeri che arrivano dagli Stati Uniti, per la precisione da un sondaggio del Dipartimento del lavoro. Per come la vede Richardson, "Le Grandi dimissioni dell'anno scorso potrebbero trasformarsi in un Big Stay". Ok, si parla degli USA, quindi non è detto che in Italia il fenomeno si esaurisca con la stessa velocità. Ma è probabile che prima o poi, la situa si acquieti anche qui. Secondo Richardson, oggi - vista la grande crisi che stiamo attraversando - la priorità è quella di mantenere il lavoro, e quindi lo stipendio, pure se ci fa cagare. "Il mercato del lavoro non è più a favore di chi cambia lavoro".

I meno legati al lavoro sono - ovviamente - i giovani. Secondo un recente sondaggio di LinkedIn, quasi il 72% di ragazzi della Gen Z e il 66% dei millennials stanno prendendo in considerazione un cambio di carriera nei prossimi 12 mesi: una bella differenza rispetto al 55% dei membri della Generazione X e al 30% dei baby boomer. Anche dagli Stati Uniti, comunque, arriva la conferma che mollare il proprio lavoro non è sempre un'idea furba: secondo un recente sondaggio Paychex su 825 lavoratori, quasi il 90% dei ragazzi della Gen Z che hanno lasciato il lavoro durante le Grandi dimissioni oggi sono pentitissimi. Quelli che - invece - sono rimasti per oltre un anno, hanno visto aumentare il loro salario. Dati che non necessariamente rispecchiano la situazione italiana, ma che sicuramente sono indicativi di un cambiamento. Le Grandi Dimissioni sono finite?

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