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Sindrome da rientro o entusiasmo a palla? Come settembre ci può dire se siamo felici (oppure no)

C'è chi non vede l'ora di tornare dalle vacanze e di mettere mano ai mille obiettivi di settembre. E poi c'è chi il back to work lo vive malissimo. Due condizioni opposte che però ci permettono di capire meglio se è arrivato il momento di cambiare

Ci sono due tipi di persone: quelle che – a settembre, post vacanze – sono felicissime di tornare a casa, riprendere il lavoro e cominciare subito a sbattersi per fare tutte quelle robe che gli girano in testa da giorni. Andare di più al cinema, rivedere assolutamente gli amici (oh, quest’anno ci becchiamo più spesso eh!), iscriversi in palestra, prendersi più cura di sé, tagliarsi i capelli, varie ed eventuali. La solita vecchia storia dei buoni propositi, no? Che in realtà sono semplicemente la manifestazione di questo entusiasmo ritrovato, di questo vigore settembrino carico anche di reminiscenze infantili. Oh ma che bello era il back to school? Cioè, magari da piccoli non lo apprezzavamo. Ma adesso, da adulti, la botta di nostalgia in questo periodo dell’anno si fa sempre, dolcemente, sentire. Non so voi, ma a me puntualmente mi parte la scimmia di comprarmi la Smemo. Sempre, e spesso alla fine la compro davvero. Per poi lasciarla chiaramente in bianco perché dai… che ci devo scrivere adesso sulla Smemo? Andare dal parrucchiere? Video call alle 15? Spostare il dentista? A quello ci pensano gli avvisi del Calendar sullo smartphone, che almeno sono certa di vederli.

Però dai, che carica settembre. Che voglia di mettere mano alla vita per farne qualcosa di ancora più figo. Massì, lo sappiamo tutti che durerà poco, giusto il tempo di rientrare nell’abitudinario. Però queste… toh, due settimane, sono sempre un godimento. O forse no?

No perché in realtà per un botto di gente settembre significa Sindrome da rientro, detta anche Post-vacation blues. Un botto di gente ‘sta energia non la sente per niente, anzi. Soffre da morire la fine delle ferie, il ritorno alla normalità. Niente più sabbia tra i piedi, niente più Spritz in riva al mare, niente più serate a far tardi, niente più spensieratezza. Solo peso, menate e botta di infelicità all’idea di rimettere piede al lavoro. Ma perché settembre viene vissuto in maniera così clamorosamente diversa? Ho fatto una call a Valeria Signorelli, psicologa clinica e psicoterapeuta analitico-transazionale, che mi ha spiegato che tutto dipende da come viviamo il cambiamento. “Non c’è una patologia vera e propria ne per la sindrome da rientro ne per chi prova energia e motivazione. Sono degli stati transitori psicofisici dovuti a un cambiamento, come succede per alcuni anche rispetto ai cambi di stagione o di clima. In soggetti più compromessi, come ad esempio persone depresse, questi mutamenti hanno effetti ancora più amplificati”.

La questione è che settembre (in generale il rientro dalle vacanze) è un indicatore interessante per valutare la soddisfazione rispetto alla vita che si conduce. Sono felice e carico? Bene. Mi vorrei sotterrare dopo la prima lavatrice di costumi? Non benissimo. “Il nodo è la parola cambiamento – mi illumina Signorelli –  le vacanze sono uno spartiacque tra due stili di vita opposti, in primis per via del lavoro o scuola che si interrompono, rimestando abitudini, ritmi sonno/veglia, routine alimentari e relazioni sociali”. Il rientro può effettivamente essere traumatico per un’infinità di ragioni: perché non si sta bene nel proprio ambiente di lavoro o a scuola, con colleghi o compagni, perché si deve tornare a vivere in un luogo che non si ama ma in cui si vive per lavoro, perché ci si allontana nuovamente dalla propria famiglia, da compagno/a o figli magari.

“Al netto del benessere o malessere rispetto alla propria vita, che è un po’ l’ago della bilancia, la capacità di cavalcare i cambiamenti con rinnovata energia e motivazione per il rientro, e con serenità nel godere di un benefico stop quando si va in ferie, sono evidenze di un benessere psicofisico dell’individuo e della qualità della sua vita sociale ed emotiva. Il suo contrario può avere effetti più evidenti nelle reazioni ai cambiamenti tra cui l’andare in ferie (vedi periodo Covid in cui tutti eravamo in ferie e c’è chi l’ha presa benissimo e chi è stato malissimo, tralasciando l’aspetto della malattia ma solo dello stop) o tornare al lavoro”.

E allora come possiamo affrontare al meglio entrambe le condizioni? Per chi vive settembre con entusiasmo, l’unica dritta è quella di non strafare. “L’energia in generale è linfa vitale, attiva, smuove…quindi la si cavalca, magari la sí può ottimizzare incanalandola nella direzione dei nostri obiettivi, non bruciandola con la smania di tutto e subito, ma step by step. Riservandola anche non per produrre qualcosa a tutti i costi, ma per vivere e godere con pienezza. L’energia crea per definizione, quindi la lascerei fluire stando in ascolto attivo di sé e di quello che ci circonda”, raccomanda la doc. Per chi invece soffre di sindrome da rientro la questione è naturalmente più delicata. “Per chi ha accusato molto questo cambiamento, direi sicuramente di approfittarne per volgere l’attenzione a quello che non va, porsi domande, se il malessere è fuori (per esempio riguarda lavoro, relazioni ecc) o se è dentro, e promuovere un cambiamento migliorativo della qualità della propria vita, anche con un aiuto psicoterapeutico, se necessario”. Tutto chiaro, no?

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