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Del diritto alla disconnessione vi abbiamo parlato diverse volte, perché è un argomento che all'Imbruttito sta particolarmente a cuore. Si possono ignorare chiamate, messaggi e mail di lavoro se il mio orario di lavoro è finito? (e, ovvio, se non ne va di vite umane). Teoricamente sì, ma mentre in altri paesi la questione è strutturata con tanto di leggi e multe, in Italia è tutto molto più effimero e affidato al buonsenso delle aziende e dei boss.

La novità, minima ma comunque importante, è che adesso abbiamo un progetto di legge "Lavoro, poi stacco" che è stato presentato alla Camera, che ha l'obiettivo di rendere più definita ed equilibrata la separazione tra vita professionale e vita privata. L'iniziativa, messa in campo dal Pd e dall'associazione L’asSociata, una realtà giovanile attiva sui temi del lavoro e dei diritt, si propone di fissare il principio che il lavoratore non deve essere sempre reperibile. Con tutti i nostri smartphone, messaggi e app che ci mandano in perenne sbatti, il confine tra lavoro e vita privata è diventato praticamente nullo. Chi non ha mai ricevuto un messaggio di lavoro “URGENTE” durante il solo e unico momento di relax della giornata? Classicone.

Questa proposta punta a garantire che durante i periodi off non si debbano ricevere comunicazioni lavorative e si applica sia ai lavoratori autonomi che a quelli il cui contratto nazionale non prevede il diritto alla disconnessione. La proposta chiarisce che per "comunicazione" si intende qualsiasi contatto tra datore di lavoro e lavoratore tramite telefono, email o messaggistica istantanea. E non finisce qui: si stabilisce che il lavoratore ha diritto a non ricevere comunicazioni dal datore di lavoro al di fuori dell’orario di lavoro, per almeno dodici ore dalla fine del turno.

E se arriva una comunicazione dopo il lavoro? Non può essere considerata un obbligo. Se è urgente, deve essere chiaramente giustificata e, nel caso si debba lavorare di nuovo, si parla di straordinario, con pagamento adeguato. Arturo Scotto, primo firmatario, ha spiegato che "è un diritto di ciascun lavoratore e ciascuna lavoratrice poter chiudere al termine del turno il proprio rapporto con il lavoro, perché nessuno può vedere sacrificato il proprio tempo di vita sulla base esclusivamente del volere del datore di lavoro".

In Europa, la Francia ha già messo in campo la legge El Khomri, che obbliga le aziende con più di 50 dipendenti a rispettare il diritto alla disconnessione. Anche in Spagna, dal 2021, ci sono normative specifiche, e il Belgio sta pensando di estendere il diritto alla disconnessione anche al settore privato. Non dimentichiamoci del Portogallo e dell’Irlanda, che hanno già leggi al riguardo, e pure l’Australia si è mossa recentemente. Manchiamo solo noi, fi*a.

Se il progetto italiano andasse in porto, i datori di lavoro che non rispettano le nuove regole potrebbero beccarsi multe tra 500 e 3mila euro per ogni lavoratore coinvolto. Il tema del diritto alla disconnessione non è affatto nuovo nel nostro ordinamento. Esistono già due leggi che ne parlano. Ma ecco il punto: quelle normative sono piuttosto vaghe e senza sanzioni per chi non rispetta le regole. In Italia, la prima volta che si è parlato di disconnessione risale al 2017, con la legge numero 81, che ha introdotto il lavoro agile. Lì si accenna per la prima volta ai tempi di riposo del lavoratore e alle misure per garantire la disconnessione, ma sono solo indicazioni di massima. Stessa musica per il decreto legge numero 30 del 2021, che riconosce il diritto alla disconnessione solo per chi lavora in modalità agile. Quindi, ora ne serve una bella specifica.

Dai su.

 

Autrice: Francesca Tortini

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