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Editorial
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Sono passati 80 anni, praticamente ieri. Le cifre tonde in una commemorazione sono più sentite, come se valessero di più, ma sappiamo benissimo che non è così. È solo una "scusa" per concentrarsi ancora di più a riflettere sul senso che diamo alle ricorrenze, agli anniversari, al ricordo. Siate comprensivi, non si può iniziare a scrivere l’introduzione a un articolo sulla pagina più buia dell’età contemporanea rimanendo impassibili. La ragione è che ricordare, non è un gesto passivo. È un atto di impegno e consapevolezza, un ponte da costruire verso le nuove generazioni affinché certi orrori non si ripetano.

La memoria, infatti, non viene a cercarti: sei tu che devi andarle incontro.

Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria, per mantenere vivo il ricordo di una delle pagine più atroci della storia, quando tra il 1939 e il 1945 sei milioni di ebrei, uomini, donne, bambini, furono uccisi dal regime nazista. I convogli carichi di persone arrivavano ogni giorno nei campi di sterminio. Il 27 gennaio è stato scelto come data perché in quel giorno, del 1945, le truppe sovietiche liberarono il campo di Auschwitz. A Milano sotto la Stazione Centrale, il Binario 21 conserva il ricordo di quelle partenze, uno dei momenti più oscuri della città: tra il mese di dicembre del 1943 e il mese di gennaio del 1945 partirono dal Binario 21 23 convogli diretti ai campi di concentramento di Auschwitz, di Bergen-Belsen, di Ravensbrück e di Flossenbürg. I deportati erano ebrei, prigionieri politici, partigiani e antifascisti. Oggi, quel binario è il Memoriale della Shoah, un luogo che invita alla riflessione e al ricordo. Proprio la parola "indifferenza", incisa in grande all’ingresso, sottolinea uno dei principali complici della tragedia, il girarsi dall’altra parte. 

Eppure Milano, tra le città più piegate dalle deportazioni e dai rastrellamenti, è stata anche il palcoscenico di atti straordinario coraggio. E oggi, nel nostro piccolo, abbiamo scelto di accendere una luce su questi "atti giusti". Non parliamo di gesti eclatanti da manuale di storia, ma di un mosaico di azioni quotidiane: un documento falsificato al momento giusto, una cantina aperta per accogliere chi non aveva più un posto dove andare ed era braccato, un messaggio sussurrato per avvertire di un pericolo imminente. In queste azioni apparentemente piccole, si nascondeva una ribellione profonda, un’umanità che si rifiutava di piegarsi alla disumanità del sistema. Una resistenza che, proprio perché silenziosa e discreta, è riuscita a penetrare le maglie di un regime apparentemente inarrestabile, mostrando che il coraggio può assumere infinite forme.

Alfredo Sarano

Lo dimostra, ad esempio, la storia di Alfredo Sarano, laurea alla Bocconi nel 1931 e successivamente impiegato della Comunità ebraica di Milano, dove il suo compito era redìgere un dettagliato elenco degli ebrei presenti in città. Con l’introduzione delle leggi razziali del 1938, gli fu imposto di collaborare al censimento fascista degli ebrei, ma Sarano sabotò il processo rallentandolo (super tattico raga) consapevole del rischio rappresentato da quelle schedature. Ma non è finita qua, nel 1943 dopo l’occupazione nazista di Milano, Sarano nascose gli archivi della Comunità ebraica contenenti i dati di oltre 14mila persone salvandole dai rastrellamenti. Quindi per il Sarano era proprio il momento di levare le tende e… taac grazie alla sua abilità riuscì a raggiungere la famiglia rifugiata nelle Marche. Insomma Netflix, la storia è già apparecchiata a quando la serie? 

Giuseppe Sala (no, non il sindaco)

Un’altra figura straordinaria è quella di Giuseppe Sala, omonimo dell’attuale sindaco. Avvocato e ufficiale durante la Prima Guerra Mondiale, Sala fu il braccio operativo del cardinale Schuster che condannò sì il nazifascismo il 13 novembre 1938, ma data la sua posizione aveva poco modo di agire senza essere arrestato. Quindi? Mentre il cardinale forniva strutture e fondi senza esporsi direttamente, Sala gestiva tutto il resto: nel suo studio di via Borgonuovo affluivano decine di persone in cerca di aiuto. Organizzava rifugi, pianificava fughe in Svizzera, teneva i contatti e persino le note spese (siamo pur sempre a Milano). Tra i nascondigli più utilizzati c’era l’Opera San Francesco dei frati minori cappuccini di Viale Piave, che ancora oggi offre tutti i giorni un pasto caldo, non solo ai senza fissa dimora ma anche a chi, casa e lavoro ce l’ha, ma non bastano.  Insomma raga, siamo al cospetto del massimo livello dell’antisgamo, cinque secondi di silenzio prima di proseguire, please. 

Fernanda Wittgens

Tra i grandi palazzi di Milano, anche a Brera si respirava l’aria della resistenza silenziosa. La protagonista questa volta è una donna, Fernanda Wittgens, prima direttrice della Pinacoteca di Brera nel 1935 a soli 32 anni. La Wittgens durante gli anni bui del fascismo utilizzò il suo ruolo per proteggere non solo il patrimonio artistico dalle grinfie di baffetto e soci, ma salvò anche centinaia di persone, fornendo documento falsi e organizzando un ponte per la fuga in Svizzera. Arrestata nel 1944 per il suo ardire, fortunatamente riuscì a resistere in cella fino alla Liberazione. 

Don Eugenio Bussa

Un nome che forse al quartiere Isola qualcuno ricorda ancora è quello di Don Eugenio Bussa. Negli anni ’30 l’Isola di Milano era ecco… leggermente diversa. Isolata dai binari ferroviari dal resto della città (da cui il nome), era tra i quartieri operai per eccellenza e culla della celeberrima gang milanese, la Ligera. Per questo in quegli anni si prestava molta attenzione a togliere gli adolescenti del quartiere Isola della strada per allontanarli dalla malavita, nasce per questo il patronato e oratorio Sant'Antonio, di cui Don Bussa diventa vice direttore. E vuoi non usare l’oratorio per nascondere la meglio gioventù dell’Isola per aiutarla a disertare il richiamo al fronte nelle file repubblichine? E nelle cantine dell’oratorio Don Bussa trova spazio per tutti, di ogni etnia, religione e partito politico scomodo al regime e da lì fa partire, documenti falsi alla mano, alla volta di Serina, in Val Brembana verso un ex convento messo a disposizione dal cardinale Schuster, 007 spostati proprio. 

Queste storie le conosciamo perché sono avvenute nella cornice dell’istituzione ma c’è un altro coraggio che, per certi versi, brilla ancora di più: è il coraggio delle persone comuni. Bottegai, infermieri, impiegati, funzionari pubblici che hanno offerto rifugio a persone ricercate dai nazisti, nascondendole nella propria casa, cantina, solaio fuggitivi che erano i loro vicini di casa, i compagni di classe dei propri figli, amici, colleghi, insegnanti. E lo facevano senza aiuti, senza il sostegno di un luogo ufficiale, agendo ancora più di nascosto e soprattutto senza aspettarsi nulla in cambio, né dalla storia né dai contemporanei. 

Addirittura, molte di queste storie nemmeno le conosciamo tutte, diverse sono emerse grazie al lavoro di ricerca del Fondazione Gariwo che, dal 1999, raccoglie tutte le storie di coraggio (spesso raccontate dai figli) di chi si è opposto ai genocidi e ai crimini contro l'umanità. Situato nel Parco Monte Stella il giardino dedica un cippo di granito e un albero di ciliegio a ogni persona riconosciuta “giusta dell'umanità” (QUI trovate il link al Giardino dei Giusti). Sono loro gli eroi tra gli eroi di Milano, e ora via il cappello è il momento di andare incontro alla memoria. 

 

Autore: Davide Frigoli

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