Tremate, tremate, le macchine sono arrivate! Negli Stati Uniti il mese di Halloween è stato davvero da brividi dal punto di vista del lavoro: sono andati in fumo 153.000 posti (tanto che lo hanno definito il peggior ottobre dal 2003) e 31.000 di questi sono stati dichiaratamente sostituiti dall’intelligenza artificiale.
Per mesi si è discusso se l’AI avrebbe davvero tolto il lavoro alle persone… e la risposta è arrivata in una botta sola. Sia chiaro: il fenomeno è nato da un pezzo, ma a ottobre è letteralmente esploso, come hanno confermato i dati diffusi dalla società di consulenza Challenger, Gray & Christmas. Come se, improvvisamente, qualcuno avesse premuto l’acceleratore… naturalmente di un’auto a guida autonoma e senza conducente umano.
Numeri da paura
Negli Stati Uniti, si sa, tutto accade prima e più in fretta, quindi adesso sappiamo che il fenomeno è irreversibile anche per noi. È solo questione di tempo. I numeri fanno impressione, soprattutto se si pensa che nei primi nove mesi dell’anno la sostituzione da parte della tecnologia aveva causato “solo” 18.000 tagli. A farne le spese non sono stati gli operai delle catene di montaggio, bensì i cosiddetti colletti bianchi: impiegati, addetti al marketing, operatori di customer service… sì, proprio noi che stiamo cazzegiando al computer, leggendo questo articolo mentre stiamo facendo preparare la presentazione in Power Point all’AI di turno. Ecco, presto l’AI farà presentazioni ppt ancora più belle e noi staremo a leggere articoli al bar.
A dare il via al cambiamento — o al terremoto, dipende dai punti di vista — sono proprio le aziende tecnologiche, quelle che conoscono meglio le potenzialità dell’IA. Duolingo, per esempio, ha deciso di non usare più collaboratori esterni per i contenuti: ci pensa l’IA, più rapida ed economica. Salesforce, colosso del marketing digitale, ha mandato a casa 4.000 persone spiegando che l’intelligenza artificiale può svolgere “almeno metà del lavoro”. Il fondatore di Klarna, Sebastian Siemiątkowski, ha detto senza troppi giri di parole che la sua azienda può “fare a meno del 40% delle persone grazie all’IA”.
Poi c’è Amazon, che ha annunciato 14.000 licenziamenti: non ha mai parlato apertamente di automazione, ma in molti hanno letto tra le righe il peso crescente dei sistemi automatizzati. E ancora Meta, il gigante che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp. A ottobre ha licenziato 600 dipendenti proprio nella divisione che si occupa di sviluppare l’intelligenza artificiale. L’immagine è quasi simbolica: persone che lavoravano per creare le macchine destinate a rimpiazzarle. Una specie di autolicenziamento assistito da algoritmo.
A dire il vero, non tutti sono convinti che dietro ogni licenziamento ci sia davvero la mano (o meglio, il codice) dell’intelligenza artificiale. Alcuni esperti sospettano che la sigla “IA” sia diventata una scusa comoda per giustificare tagli che sarebbero avvenuti comunque. Ma chissà se hanno ragione o illusione.
«Dubito che questi licenziamenti derivino da veri aumenti di produttività», spiega Fabian Stephany, docente all’Oxford Internet Institute. Secondo Andrea Derler, responsabile di ricerca per la piattaforma Visier, l’IA è “una spiegazione conveniente”: i suoi dati mostrano che oltre il 5% dei lavoratori licenziati finisce poi riassunto dalle stesse aziende. Segno che forse, più che sostituire, molte imprese stanno semplicemente sperimentando.
L’AI ci sta davvero rubando il lavoro?
Visti i licenziamenti a raffica annunciati negli ultimi mesi negli Stati Uniti, la domanda viene spontanea. Ma la risposta, spoiler, è: non proprio.
Dietro i maxi tagli del personale di colossi tech, retail e non solo, nella maggior parte dei casi non ci sono chatbot pronti a sostituire impiegati in camicia, ma motivi molto più terra-terra. Tipo: economia che rallenta, dazi voluti da Trump che hanno complicato parecchio le cose, vendite in calo perché i prezzi sono schizzati e la gente compra meno, decisioni manageriali sbagliate da sistemare in corsa. E poi, ovviamente, il grande classico: tagliare costi per far felici gli investitori.
I numeri fanno impressione: nei primi undici mesi dell’anno negli Stati Uniti sono stati annunciati oltre 1,1 milioni di esuberi, considerando anche pubblica amministrazione e industria manifatturiera. Solo a ottobre, 153 mila persone. Il livello più alto dal 2020, mica bruscolini.
Quindi certo, l’AI fa paura, ok, ma per ora non è lei la vera colpevole. Il lavoro non ce lo sta rubando un algoritmo, ma la solita combo di economia incerta, scelte discutibili e bilanci da far tornare.
Chi se ne va, e chi arriva
Certo, non è tutto negativo. Il World Economic Forum, nel suo Future Jobs Report 2025, prevede che entro il 2030 92 milioni di posti saranno effettivamente rimpiazzati dalle macchine, ma che 170 milioni di nuovi lavori nasceranno grazie alle tecnologie emergenti. Peccato che tutti gli ingegneri necessari non ci saranno perché avranno studiato con l’AI… Far combaciare le competenze sarà la sfida più grande: chi perde il posto oggi non è detto che domani possa occupare uno di quelli nuovi. E le macchine non hanno nemmeno bisogno di aggiornare il curriculum.
Forse tra qualche anno ci faremo una bella risata sulle preoccupazioni di oggi, perché l’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro sarà stato meno drammatico di quanto sembri ora. Forse. Ma oggi, guardando i numeri e le statistiche, l’impressione è quella di un sistema che corre più veloce delle persone. E mentre l’IA impara a rispondere alle nostre domande, la nostra prossima domanda potrebbe essere proprio: “Dove trovo lavoro?“









