A salire sul carro del vincitore si fa in fretta ma anche poco rumore. Per questo – devono aver pensato in Alto Adige – invece di festeggiare come il resto d’Italia l’ammissione della nostra cucina al patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco, perché non lanciare una bella bomba e fare un po’ di casino? E per “bomba” intendiamo la palla di pane e speck tipica del Sud Tirolo: il canederlo. Mentre tutto il Paese gonfia il petto di fronte alla proclamazione globale (anche un po’ scontata, per la verità), ecco che in Alto Adige il principale quotidiano di lingua tedesca, Dolomiten, scrive con sarcasmo «Adesso, improvvisamente, i canederli sono diventati bene culturale italiano».
A ricostruire la vicenda è la brava Silvia M.C. Senette dalle pagine del Corriere della Sera. Sondando gli umori della politica locale, il quotidiano riporta le parole dell’assessore provinciale Marco Galateo – «Ciò che vale per pizza e pasta, vale anche per lo speck e i canederli» – e ricorda la trasferta dello scorso anno a New York «in “missione speck” per sostenere la candidatura italiana». Ma subito dopo fa capire dove vuole andare veramente a parare con una domanda: «Si possono davvero commercializzare gli Schlutzkrapfen (ravioli ripieni), gli gnocchi di formaggio (Käsenocken) e i Tirtlan (frittelle ripiene) come italiani?».
Insomma, mentre nel resto del mondo si fa di tutto per imitare il Made in Italy e l’Italian Sounding di prodotti tarocchi come il “Parmiggiano Ruggiano” e il “Ragu Bolonesa” produce un danno all’agroalimentare italiano pari a 63 miliardi di euro, in Alto Adige si va “in direzione ostinata e contraria”, per dirla con De André e, dopo più di cento anni dall’annessione all’Italia, tutto ciò che suona italiano suscita ancora una certa orticaria.
Vero che quando si parla di cucina italiana è più probabile che vengano in mente la Carbonara e la Parmigiana di Melanzane: dunque, che cosa si risponde in merito a Schlutzkrapfen, Käsenocken e Tirtlan? Hansi Pichler, presidente di Idm (l’ente che accompagna lo sviluppo economico provinciale) sta schiscio: le campagne di comunicazione sono ancora da decidere, anche se il riconoscimento, dal sud al nord, “premia la qualità”. Più entusiasta Klaus Berger, direttore di Hgv, che vede nel marchio un rafforzamento del fascino internazionale dell’Italia. E c’è chi come Martin Knoll, del Consorzio Speck Alto Adige, prova a tenere insieme capra e canederli, e parla di “un “messaggio di “eccellenza culinaria italiana a cui anche lo speck contribuirebbe”.
In Consiglio provinciale le posizioni si mescolano ulteriormente. Il governatore Arno Kompatscher fa l’equilibrista: il termine “italiano”, dice, non va inteso in senso geopolitico, perché la cucina altoatesina resta qualcosa di particolare. Un’interpretazione che evita di mettere il mestolo troppo a fondo nella pentola e infatti non si capisce se tiri su canederli o palle da golf. Stranamente conciliante – sottolinea Senette – anche il separatista Sven Knoll, che ricorda come in cucina gli scambi siano sempre esistiti: la cucina viennese nasce da quella boema, in Germania si produce molta pizza, ma questo non la rende automaticamente un prodotto tipico tedesco. A chiudere il cerchio con una forchettata di ironia, è il capogruppo dell’opposizione Paul Köllensperger, che si chiede – con una buona dose di provocazione – se il riconoscimento valga anche per la carbonara altoatesina con panna e speck.
Alla fine, più che una guerra di sapori, la polemica racconta una storia vecchia con ingredienti nuovi: l’identità che passa dal piatto, la politica che si infiltra in cucina e un canederlo che diventa il pomo della discordia e rotola da una parte all’altra del tavolo. E comunque, se gli altoatesini non vogliono condividere con il resto dell’Italia quelle indigeste palle da baseball annegate nel burro ce ne faremo una ragione: noi Milanesi discutiamo di quanto sia nostrana la cotoletta da molto più tempo. Speriamo solo che non attacchino con la polemica anche altrove, visto che anche piatti come il cous cous siciliano, la zuppa Jota friulano-giuliana e il civet valdostano sono molto vicini ai loro cugini oltre confine.









