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Niente chiacchiere, cellulari spenti, pc sotto controllo: polemica per le assurde regole dello studio di architetti milanese

Stanno facendo molto discutere le regole dello studio dell'architetto milanese Andrea Caputo. Un esempio? "Usa internet solamente per le e-mail dell’ufficio e motivi di ricerca. Sii veloce"

Se il vostro capo vi sta sui maroni e in ufficio vi girano le balle un giorno sì e l’altro pure, leggetevi quanto segue e magari domani andrete a lavoro pensando che dai, tutto sommato poteva andarvi peggio. Stanno facendo molto discutere, infatti, le regole per i dipendenti dello studio dell’architetto milanese Andrea Caputo, la cui società si è aggiudicata la riqualificazione di Piazzale Loreto. Un elenco di divieti e di obblighi che hanno del fantozziano.

Qualche esempio, tanto per capire il livello di tirannia. “La pausa pranzo è dalle 13 alle 14, non dalle 13:05 alle 14:05″. Insomma se vi capita di tardare per un cagotto improvviso, sono cazzi. “Niente pause sigaretta o caffè al di fuori dalle due pause di 10 minuti”. Ergo, nell’arco della giornata sono accettate solo due pausette in cui sfogare tutto il bisogno di nicotina/caffeina. “Gli smartphone personali devono essere costantemente spenti in orario di lavoro. Puoi controllare o attivare il tuo cellulare solo in pausa pranzo e durante le pause”. Minchia raga che ansia. L’elenco completo è stato pubblicato dalla pagina Instagram Dda (Disordine degli architetti), che ne ha denunciato la clamorosa rigidità.

Ma continuiamo a scandagliare nella follia delle imposizioni dello studio di architettura, anche un po’ per rivalutare la nostra situazione lavorativa, dai. “Evita cibo dall’odore forte“, quindi chi ha una schiscetta di zuppa alle cipolle, meglio buttare via tutto. Vietate anche le distrazioni. “Usa internet solamente per le e-mail dell’ufficio e motivi di ricerca. Sii veloce” si legge tra le regole. Che pesantezza. Ne consegue che “L’uso di internet a fini personali è severamente proibito”. Anche la socialità deve essere ridotta all’osso. “Chiacchierare in orario di lavoro non è accettato” e bisogna evitare sempre di disturbare i colleghi con domande o parole”. In caso di dubbi, “Ridurre le domande al minimo indispensabile”. Bell’atmosfera.

Inutile dire che questo folle elenco ha scatenato immediate polemiche. “Non approviamo questa lista di regole/compiti dati con una coscienza che appartiene forse all’inizio del XX e ci chiediamo come sia possibile che a studi del genere vengano date commissioni di questa portata in un Paese come l’Italia dove dovrebbe contare il prodotto, ma anche come il prodotto è stato fatto. A voi sembra eticamente corretto?”, si legge nel post.

E visto il putiferio che si è scatenato, l’architetto Caputo ha affidato a Instagram la sua replica. “Le foto ai fogli pubblicati su Instagram corrispondono a un documento che non conoscevo, non ho mai autorizzato e non rispecchia il modus operandi del nostro studio. Se effettivamente circolato riguarda un periodo circoscritto, lontano nel tempo”, si è giustificato. “In ogni caso, all’interno di quel documento, sono possibili risposte – alcune indubbiamente sbagliate nei toni e nei contenuti, altre ragionevoli – a problemi oggettivi di convivenza che affliggono il nostro come molti altri studi di architettura”.

Finita qui? Macché. In risposta a Caputo, sempre sull’account Instagram Disordine degli architetti, è spuntata una mail del 2017 in cui lo studio avvisava i collaboratori, tra le altre cose, che cenare con il cibo dell’ufficio sarebbe stato possibile solo per chi fosse rimasto almeno fino a mezzanotte. “Potremmo fare una monografia solo con questo tipo di segnalazioni – hanno scritto sul profilo Instagram di Dda -. Crediamo che queste persone meritino delle scuse e noi vorremo essere assicurati sul fatto di non dover mai più parlare di questo studio. Come già detto non abbiamo nessuna intenzione di perseguitare qualcuno, ma allo stesso tempo siamo stufi che questo tipo di situazioni vengano affrontate con leggerezza e che vengano fatte cadere nel dimenticatoio dopo poco tempo”.

Di sicuro non finisce qui…

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